«E’ la prima volta che mia sorella e io siamo lontane per così tanto tempo. Non era mai successo in tutta una vita». Marielle parla anche per...
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Sabato 28 marzo, però, sul sito dell’Accademia di Santa Cecilia, tornano virtualmente una accanto all’altra: alle 18, con la direzione del Maestro Pappano, va in onda la registrazione del concerto per due pianoforti di Martinů. «Un brano bellissimo, complicato, ma molto intenso, che il compositore ceco scrisse in America negli Anni Quaranta, contaminando la sua musica con quella di Gershwin e il gusto popolare di allora. Grandi emozioni che siamo felici di condividere con il pubblico italiano».
Entrambe del segno dei Pesci (ma nate a due anni di distanza, nel 1952 e nel 1950), sono un’inossidabile coppia artistica e familiare.
Suonano insieme da quarant’anni, “narrando” le emozioni di spartiti impegnativi, rari e inusuali e hanno raggiunto la fama mondiale anche per la ricchezza del loro repertorio che da Bach arriva fino a Thom Yorke, leader dei Radiohead che ha scritto per le due sorelle prodigio il suo primo brano classico, “Don’t fear the light”, portato in tour l’estate scorsa.
Avrà un seguito il progetto con Yorke?
Katia: «Certo. Thom comporrà ancora per noi. Ma al momento siamo tutti un po’ congelati. I compositori continuano a lavorare. Philip Glass, che ho sentito l’altro giorno, mi ha confessato che per lui non è cambiato nulla visto che da sempre vive chiuso in casa a scrivere musica. Per noi interpreti è un po’ più complicato. Ma non mi dispiace avere tempo per me. Per il giardino. La cucina. Un modo per riappropriami di tante cose che nella vita “normale” siamo costretti a trascurare».
Progetti?
Marielle: “Dovremmo suonare a giugno, a Parigi, musiche di Berio. Mentre a ottobre, a Los Angeles, dovrebbe debuttare il nostro nuovo, bizzarro progetto: “Supernova”. Speriamo di farcela. Più che un concerto è uno spettacolo con musiche di Hildegard von Bingen, Barbara Strozzi, Bryce Dessner, della rock band National, con cui siamo stati un tour anche a Roma, quest’estate, e David Chalmin. Una meditazione, con luci e video, individuale, e universale, sul cosmo, il tempo, la vita. Pensieri che in questi giorni tornano ricorrenti».
C’è un legame anche con quello che sta accadendo nel mondo?
Katia: «Abbiamo cominciato a lavorare prima del disastro. Ma è chiaro che qualsiasi progetto nasca oggi non può prescindere dalla situazione in cui ci troviamo. Non si può non ragionare su quello che sta accadendo. Questo virus è una tragedia, ma mi auguro che spinga tutti gli uomini a costruire un futuro migliore. Ci eravamo spinti troppo in là».
Riferimenti a problemi legati all’ecologia?
Marielle: «Sono state pubblicate online delle foto di Venezia con l’acqua azzurra, i pesci e i cigni nei canali... Fino a pochi giorni fa c’erano le navi da crociera a deturpare il paesaggio. E Parigi? L’aria non era mai stata così pulita negli ultimi quarant’anni. Mi auguro che non si torni indietro. Che non ci si prenda più gioco di Greta o dei giovani ambientalisti preoccupati per i disastri causati da politiche incoscienti. Abbiamo ignorato Chernobyl. Non possiamo ripetere lo stesso errore».
Che cosa vi manca, l’una dell’altra?
«Tutto. Lo studio, insieme. Siamo cresciute nella classica, ma siamo unite oltre che dal sangue, da un perenne desiderio di metterci alla prova con nuovi linguaggi. Abbiamo condiviso il percorso di una vita. Non cerchiamo spiegazioni. Ma sappiamo che è un dono». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero