Jobs Act, il governo conferma la linea dura sui controlli a distanza

Jobs Act, il governo conferma la linea dura sui controlli a distanza
Nessuna retromarcia sui controlli a distanza. A pochi giorni dal varo definitivo degli ultimi quattro decreti del Jobs act, a Palazzo Chigi sembra prevalere la linea di chi -...

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Nessuna retromarcia sui controlli a distanza. A pochi giorni dal varo definitivo degli ultimi quattro decreti del Jobs act, a Palazzo Chigi sembra prevalere la linea di chi - Renzi in primis - non vuole annacquare la portata della nuova norma che modifica l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Il testo non cambia: «Le informazioni raccolte» attraverso telefonini, tablet e pc aziendali dati in dotazione al dipendente, potranno essere usati dal datore di lavoro «a tutti fini connessi al rapporto di lavoro», quindi anche come base per procedimenti disciplinari. Testo originario confermato anche per l’altra norma che ha sollevato le proteste dei sindacati: quella sulla chiamata nominativa per soddisfare la quota obbligatoria di assunzione disabili. Qualche modifica proposta dal Parlamento potrebbe essere accolta invece sulla riforma della cig, in particolare per le imprese che chiudono, e sul nuovo sistema di politiche attive.


LO SCONTRO

Venerdì prossimo, 4 settembre, il Consiglio dei ministri chiuderà completamente il capitolo Jobs act: stavolta non ci dovrebbero essere sorprese (visto come è andata finora, il condizionale resta d’obbligo) almeno sulla data. Invece sui contenuti dei provvedimenti (nuova cassa integrazione, agenzia ispettiva unica, politiche attive, semplificazione delle procedure) non si escludono limature all’ultimo momento. Sul nodo del telecontrollo dei dipendenti, che tanto ha fatto discutere e allarmare i sindacati, Renzi e i suoi più stretti consiglieri non hanno dubbi: la norma prevista all’articolo 23 del decreto sulle semplificazioni delle procedure, va bene così come è stata pensata. Il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, che invece aveva dato mandato ai suoi tecnici di incorporare nel testo le modifiche proposte dalla commissione Lavoro della Camera guidata da Cesare Damiano, alla fine ne prenderà atto. Quelle modifiche - che di fatto tornano allo Statuto dei Lavoratori e concedono come unico passo avanti di saltare l’accordo sindacale per dotare i dipendenti di telefonini, tablet, Pc e smartphone - non saranno quindi accolte. Il decreto non cambia, con buona pace della minoranza dem, dei sindacati e del ministro Poletti che finora era sembrato più accomodante.



GLI ALTRI NODI

Sempre nel decreto semplificazioni delle procedure, c’è anche un’altra norma che non piace ai sindacati e a una parte del Parlamento: quella che, all’articolo 6, estende a tutte le aziende la chiamata nominativa per la quota obbligatoria di assunzione di disabili. La norma va a modificare la legge 68/2000 che invece dà questa possibilità solo alle aziende che non superano i 35 dipendenti, mentre impone il metodo numerico (il lavoratore deve essere preso dalle liste di collocamento senza possibilità di selezione) alle aziende con un organico superiore (con quote fissate a seconda della dimensione aziendale). La commissione Lavoro della Camera ha proposto di limitare la possibilità di chiamata nominativa fino a 50 dipendenti, lasciando una quota numerica per le aziende più grandi. Ma l’osservazione non è stata accolta.


Una novità importante potrebbe invece arrivare nel decreto sugli ammortizzatori sociali. Il provvedimento ridisegna la cassa integrazione guadagni: restano la cig ordinaria e straordinaria, scompare dal 2016 quella in deroga. Nel testo varato in via preliminare dal governo, si prevede che lo strumento non possa essere più utilizzato dalle aziende che cessano l’attività. E proprio su questo punto è in arrivo una modifica suggerita dalla commissione Lavoro della Camera: allungare il periodo transitorio di cig straordinaria (12 mesi nel 2016 anziché i 6 previsti; 9 mesi nel 2017; 6 mesi nel 2018) per le aziende in crisi che stanno per essere acquistate da un nuovo acquirente. «Nella delega quando abbiamo previsto di non concedere più la cig alle aziende decotte, avevamo utilizzato il termine “cessazione definitiva”. Se però all’orizzonte si profila un nuovo acquirente è giusto prevedere un atterraggio morbido che possa agevolare le trattative e la salvaguardia dei posti di lavoro» spiega Damiano. Qualche modifica è in arrivo anche nel decreto sulle politiche attive. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero