Investimenti pubblici: Milano riceve più risorse di Roma

Può apparire un gioco. Eppure a Milano la questione è presa abbastanza sul serio. Cosa potremmo fare, si è chiesto un gruppo di cittadini, se avessimo a...

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Può apparire un gioco. Eppure a Milano la questione è presa abbastanza sul serio. Cosa potremmo fare, si è chiesto un gruppo di cittadini, se avessimo a disposizione 11 miliardi di euro in più? Una domanda che parte dal presupposto che i milanesi ricevano poco dallo Stato. Anche se, dicono dati della ragioneria, negli ultimi 5 anni hanno ottenuto oltre 800 milioni per infrastrutture, strade e qualsiasi altro investimento capitale, contro i 560 circa di Roma. Comunque la fantasia, che aspira al potere, qualche risposta alla domanda l’ha trovata: regalare a tutte le famiglie milanesi un’auto elettrica. Oppure, costruire cinque nuove linee della metropolitana. O in alternativa 50 ospedali. «Milano Città Stato», si chiama l’iniziativa che sta cercando di raccogliere le firme per un referendum con il quale si vorrebbe trasformare la città in una Regione autonoma, in modo da poter trattenere all’ombra della Madonnina 11 dei 23 miliardi di fondi statali attribuiti al Pirellone. Il motivo? Il solito, il residuo fiscale, il fatto che quei soldi sono frutto più delle tasse dei milanesi che del resto dei lombardi. Più o meno quello che il governatore Attilio Fontana vuole fare nei confronti del resto dell’Italia. Il professor Bellavista, il personaggio creato da Luciano De Crescenzo, gli avrebbe fatto notare che «si è sempre meridionali di qualcuno».


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IL PUNTO
Ma il punto in questione, in realtà, è un altro. Come detto i milanesi, come il resto dei lombardi, sono convinti di ricevere poco dallo Stato centrale. La verità, a ben guardare, è più articolata. Milano deve il suo successo, certificato da tutti gli indicatori di crescita economica, sicuramente alla capacità amministrativa della città, alla decisione di managerializzare il Comune, alla continuità nei progetti a prescindere dal colore politico dei sindaci che si sono succeduti. Ma una parte del suo successo è dovuta anche alle scelte della politica nazionale, anche in questo caso a prescindere dal colore politico, che ha deciso di puntare sul capoluogo lombardo piuttosto che altrove. L’Expo, lo Human Technopole, le Olimpiadi invernali, il salone del libro, il tentativo fallito per un pelo di collocare lì anche l’Agenzia europea del farmaco, ne sono esempi concreti. Ognuna di queste decisioni costituisce un volano per gli investimenti nella città.

L’ANALISI
Se si estraggono, come ha fatto Il Messaggero, i dati degli investimenti comunali degli ultimi dieci anni dal Siope, la piattaforma su cui transitano tutti i pagamenti delle pubbliche amministrazioni, emerge una tendenza chiara. 
La spesa pro-capite di Milano è stata in media il triplo di quella di Roma. Già nel 2009 se il Campidoglio investiva mediamente 477,69 euro per ogni cittadino residente nella Capitale, a Milano l’investimento medio era di 1.038 euro. Nell’anno più nero della crisi dello spread, nel 2011, i pagamenti registrati sulla banca dati del Siope per gli investimenti a Roma hanno registrato una riduzione fino a 304,27 euro. A Milano nello stesso anno il dato è stato di 1.443 euro. Nel 2014 e nel 2015 la cassa degli investimenti a Roma ha registrato pagamenti in media di 115 euro pro capite. A Milano rispettivamente 699 e 543 euro. Una tendenza confermata anche dai dati più recenti.

LA NARRAZIONE

Certo, si potrebbe obiettare che è merito, anche questo, degli amministratori che spendono più per investimenti che per la spesa corrente. Se però, sempre sul Siope, si va a vedere quanti investimenti dei due Comuni sono stati finanziati con fondi statali, si scopre che Milano, negli ultimi cinque anni, ha ottenuto 806,3 milioni contro i 563 di Roma. La narrazione, insomma, per cui Milano corre soltanto perché è brava e nonostante riceva poco dallo Stato, è una visione limitata. La pioggia di fondi pubblici per gli eventi e i progetti concentrati nel capoluogo lombardo sono stati un volano difficile da ignorare. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero