I fantasmi di Pennacchi

I fantasmi di Pennacchi
IL ROMANZOI morti, la terra, il dàimon. Antonio Pennacchi dice che la coazione a scrivere gli viene da questi tre elementi. Dei quali colma - lo ha già fatto nelle altre opere,...

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IL ROMANZO
I morti, la terra, il dàimon. Antonio Pennacchi dice che la coazione a scrivere gli viene da questi tre elementi. Dei quali colma - lo ha già fatto nelle altre opere, ma ora il gusto gli è diventato più rotondo - l'ultimo suo romanzo, Camerata Neandertal. Libri, fantasmi e funerali vari (Baldini & Castoldi, 284 pagine, 16 euro), fra pochi giorni in libreria.

I morti riemergono dalla memoria con la forza che intrinsecamente hanno in quanto privi di materia, e scorrazzano nei luoghi cari all'autore, sempre gli stessi, resi mitici dalla Storia e dalla reiterazione. ...«Nei tempi storici - gli ultimi tremila anni circa - la pianura era per lo più conosciuta come Paludi Pontine, ma non sempre è stata completamente impaludata; Tito Livio la ricorda pure come granaio di Roma, agro coltivato. Ma il Circeo è anche luogo di margine fra terreno e ultraterreno - l'oltretomba - e fra umano e non-umano; un luogo in cui gli uomini possono essere tramutati anche in porci». In Camerata Neandertal Pennacchi libera più di sempre elegìa ed elogio dei posti che gli si rivelano da quando è al mondo, forse anche da prima. Posti più che familiari nel cui alveo protettivo, striato di mare e di magia, i fantasmi vagano, concionano, lavorano, amano, proprio come i compagni di Ulisse stregati da Circe e resi umanissimi maiali. Nella schiera spettrale c'è il Federale di Latina, Ajmone Finestra, primattore in Palude e nel Fasciocomunista. C'è Carlo Alberto Blanc, il paleontologo delle Iene del Circeo. Ci sono Aldo Dapelo di Mammut e Gianni, che passò a miglior vita senza poter leggere Canale Mussolini.
Lo scrittore va e viene, in questi suoi territori esclusivi, con la solita assenza di complessi, al di là degli stili e dei modi di narrare, oltre il pudore, la lingua e i confini geografici. Alto e basso, gergale e politico, autoreferenziale per scelta d'origine, mette insieme le tessere di un mosaico che sta tra il verde, il blu cobalto e l'oro: l'autobiografia.
LIBERTÀ
Ormai assuefatto a una libertà intoccabile, volutamente priva di autocensure, manipola realtà e visione onirica, quotidianità e astrazione in un viaggio che chiede al lettore di affezionarsi a priori alla vita altrui, facendola magari propria, per gustarne sia la faccia letteraria. sia quella familiare. Il sapore plurimo di Camerata Neandertal lo si può cogliere aprendo il libro a caso. Là dove, ad esempio, Pennacchi rende classica, a mo' di descrizione virgiliana, l'immagine «di quella che a Latina chiamiamo “discesa del mare”, dove la strada che conduce al lido di Capo Portiere di colpo s'abbassa dalla duna quaternaria fino al fosso della Cicerchia, e da lì risale il colle dei Prati di Coppola». Nello stesso modo, con uguale vocazione al mito, nel punto in cui è una scatoletta di carne la causa della morte della madre. Oppure, ancora, nell'ennesima glorificazione dell'Agro, padre antico, onnivoro, dall'aspetto ostile e comunque benigno: «L'equilibrio idrogeologico dell'Agro Romano e Pontino è sempre stato assai precario è non per niente c'erano le paludi già nell'antichità; non nelle dimensioni assunte in seguito e fino alla bonifica fascista del novecento, ma c'erano. Ancora non sappiano a chi si deve Rio Martino - il cavo artificiale più profondo d'Europa fino al settecento - e se davvero fosse pre-romano o molto più probabilmente neroniano. Ma lo scavo di fossi e canali, e l'irregimentazione dei corsi d'acqua, devono essere sempre stati una costante, da queste parti».

Pennacchi si confessa, si rivela. Compone un vademecum di sentimenti e figure dal quale si lascia attraversare come scrittore, come studioso, come persona impegnata a non considerare la Storia pura giustapposizione di accidentes. Arde, tra pagine di per sé virili, la cosciente debolezza di tirar fuori tutto, senza tener conto degli equilibri, dei pesi, degli effetti. Il dolore si affianca alla malinconia, l'euforia può scivolare nella gaiezza ironica, persino nella comicità. La confidenza, anche la più rilassata, non riesce a sfaldarsi nel rimpianto. Una vita a tranci, a tralci. Di cui cibarsi senza ritegno, apprezzando persino «il cielo blu di Latina Littoria sfolgorante di sole - con la brezza che dal mare, odorante di salsedine, muoveva le bandiere». Senza ritegno, sì. Perché qualche riga prima la frase «Sticazzi di fasci» riconduce tutto a terra.
Rita Sala
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Messaggero