Tutti conoscono Giorgio Moroder, senza saperlo. È il creatore della disco music e il pioniere dell’elettronica, colui che, aggiungendo un clic al mixer 24 tracce, generò una...
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ALBUM
Il 16 giugno esce il suo primo album dopo trent’anni, titolo "Déjà vu". Spiega Moroder, in Italia per promuoverlo e per lanciare i due concerti, 24 luglio a Roma Villa Ada, 25 a Milano: «Non ho scelto io di tornare, qualcun altro ha scelto per me. Avevo ripreso a fare il dj da qualche mese quando i Daft Punk mi chiamarono». Poi sono piovute offerte, dai remix di Lady Gaga e Tony Bennett a quello dei Coldplay, e l’occasione di un album per la Sony, dodici brani impacchettati con una sfilza di popstar tutta al femminile: Britney Spears, Sia, Charli XCX, Kylie Minogue, Kelis. Certo il metodo usato è diverso dall’epoca: «Gli artisti sono troppo impegnati. Non parli direttamente con loro ma con gli intermediari e i brani si fanno a distanza, non si sta tutti insieme chiusi in uno studio. Per chiudere questo disco ci ho messo due anni, con Donna Summer impiegavamo tre settimane». E anche l’elettronica è tutta un’altra musica, più commerciale, slegata dalla moda e dai movimenti culturali. I dj sono divi e i febbricitanti del sabato sera non possiedono più i dischi, scaricano file o li ascoltano in streaming. Ma Moroder viene ancora chiamato in consolle ai festival perché «nella dance non importa dove vivi, chi sono i tuoi amici, se hai 74 o 24 anni». Si sente ancora parte di questa generazione. Lo vogliono Lana del Rey, Skrillex e Pharrell Williams e i progetti all’orizzonte sono tanti. A cominciare da un inno italiano: «Anni fa provai a scriverne uno, ma non ha funzionato. Lo mandai a Bernasconi, braccio destro di Berlusconi. Gli piaceva ma non andò in porto. Ora ho idee per farne uno nuovo, se Renzi fosse interessato». La politica in salsa disco non gli si perdonerebbe, indigeribile come la produzione di Sabrina Salerno negli anni ‘80. Moroder è stato stimato e accolto nella setta del rock anche perché scriveva e componeva, non produceva solo, aveva una visione di come applicare la tecnologia alla musica, e apriva la strada, non la seguiva.
In vista c’è la colonna sonora di un blockbuster americano e del videogioco "Tron", forse un talent e un musical con i suoi pezzi famosi, stavolta senza grandi nomi, per raccontare la vera storia dietro le canzoni. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero