Fisco, evasione record: 62 indagati per un danno di un miliardo e 700 milioni

Fisco, evasione record: 62 indagati per un danno di un miliardo e 700 milioni
ROMA Un danno erariale da un miliardo e 700 milioni di euro, un giro di fatture false da 400 milioni e una girandola di società, 250, tutte riconducibili alla Gesconet. Un...

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ROMA Un danno erariale da un miliardo e 700 milioni di euro, un giro di fatture false da 400 milioni e una girandola di società, 250, tutte riconducibili alla Gesconet. Un meccanismo a cascata che garantiva crediti Iva fino all’ultimo anello: le cooperative-cartiere, svuotate e destinate al fallimento dopo avere emesso le fatture. I fondi finivano in parte all’estero, a San Marino e in Lussemburgo, rinvestiti in società immobiliari o sui rapporti bancari riconducibili a Pierino Tulli, dominus dell’operazione. Un nome già noto alle cronache: è il patron delle coop di facchinaggio che nel 2004 avrebbe dovuto salvare la Lazio dopo il crac Cirio. Al suo fianco, almeno, fino al 2012, Maurizio Ladaga. Ma sono sessantadue i nomi finiti sul registro degli indagati nell’inchiesta, nata dopo la segnalazione dell’Agenzia delle Entrate, che ieri ha portato i militari del nucleo di Polizia valutaria della Guardia di finanza a sequestrare beni, aziende, mandati fiduciari e oltre 100 rapporti bancari per cento milioni di euro. Per il procuratore aggiunto Nello Rossi e il pm Mario Dovinola un’associazione a delinquere, finalizzata a reati tributari, bancarotta e truffa.


IL MECCANISMO

Dopo due anni di indagini sono scattate le perquisizioni in tutt’Italia. Il gip del tribunale di Roma Valerio Savio non ha invece accolto le richieste di misure cautelari richieste dalla procura. Al centro dell'indagine il gruppo “Gesconet”, un Consorzio che si occupa di trasporto, facchinaggio, pulizie e vigilanza privata. Secondo l'accusa, l'organizzazione guidata da Tulli e Ladaga era specializzata in una «sistematica» evasione di tributi e imposte. La truffa andava avanti almeno da tredici anni e avveniva attraverso quattro passaggi: la Gesconet affidava in subappalto ai consorzi, appositamente costituiti, che emettendo fatture portavano a credito l’Iva che Gesconet avrebbe dovuto versare, questi ultimi, a loro volta subappaltavano i lavori a cooperative operative (sempre riconducibili alla Gesconet) che svolgevano effettivamente le opere ed emettevano fatture. Ma le opere (questa volta per prestazioni inesistenti) venivano ancora subappaltate a ulteriori cooperative finali, che avevano il semplice ruolo di cartiere, e venivano progressivamente svuotate con prelievi in contanti e, infine, portate al fallimento. Con questo sistema, sostengono gli investigatori e gli inquirenti, sia Tulli che Ladaga si sono appropriati di almeno 160 milioni. Una volta prelevato dai conti delle cooperative finali, il denaro veniva spostato su conti correnti intestati a società di San Marino e del Lussemburgo per essere poi utilizzato per l'acquisto di immobili.


Romano, classe ’41, Pierino Tulli per gli americani sarebbe un “late bloomer”. La sua carriera è cominciata tardi, dopo avere riparato televisori e aperto un’edicola, a 41 anni ha fondato una cooperativa di trasporti che aveva per cliente la Fiat di Cassino. Una scalata sorprendente. Tulli ha rilevato il gruppo Cisco Italia e l’ha portato a un fatturato di 200 milioni di euro all’anno, è diventato proprietario di stabilimenti italiani di lavorazioni tipografiche al servizio dei maggiori gruppi editoriali italiani, da Mondadori a Espresso-Repubblica. Il gruppo finisce anche nelle cronache calcistiche acquistando la squadra romana del Lodigiani calcio, storico club romano. Ma non mancano gli inciampi. L’ultimo risale al settembre 2012 quando il Consorzio interporto di Fiumicino, con Tulli presidente, finisce in liquidazione. Stesso destino per la Ifitel, fallita nel 2012 così come altre cinque società di cui Tulli era amministratore o azionista. Ma c’è anche l’affaire Lazio. Perché nel 2004 all’indomani del crac Cirio e delle disavventure giudiziarie di Sergio Cragnotti, Tulli è pronto a scendere in campo e a pagare i 24 milioni di debiti con l’erario per i biancocelesti aderendo al condono fiscale. Poi la storia è andata diversamente.

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Il Messaggero