Da “Anima mia” a cantante di strada, la parabola di Kim dei Cugini di campagna

Da “Anima mia” a cantante di strada, la parabola di Kim dei Cugini di campagna
Dalla campagna alla strada. Il “cugino” Kim oggi vive così. Suonando nelle piazze romane per sbarcare il lunario, come un talentuoso sconosciuto qualsiasi....

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Dalla campagna alla strada. Il “cugino” Kim oggi vive così. Suonando nelle piazze romane per sbarcare il lunario, come un talentuoso sconosciuto qualsiasi. Lontani i palcoscenici, le tv, i falsetti e i capelli biondi riccioluti. Lontanissima Anima mia. «La mia situazione è drammatica, da 5-6 anni sono costretto a sopravvivere così. E neanche bene», racconta Marco Occhetti, 58 anni, in arte Kim, dall’86 al ‘94 voce e chitarra dello storico gruppo I Cugini di Campagna, nato nel 1970 e ancora attivo.

 

Per ascoltarlo basta andare nelle piazze del Centro storico di Roma, da Navona al Pantheon, dove si può suonare «solo 2 ore al giorno - spiega - perché ho una licenza regolare rilasciata dai vigili per esibirmi ma dalle ore 16, sia in inverno sia in estate e nello spazio di 2 ore ci dobbiamo alternare in quattro per forza. Quindi a me restano 20 minuti, massimo 30. Troppo poco». E così arrivare a fine mese diventa una mezza impresa. «Ho mamma e fratello invalidi, poi ho una figlia. Tutti sulle mie spalle. A volte sto sotto a un treno, faccio debitini tipo Paperino. Ma non mi vergogno, per fortuna dicono che sono bravo». 

LA ROTTURA
Bisogna riavvolgere il nastro di quasi di 20 anni per capire come si sia arrivati sin qui. «Lasciare il gruppo è stata una mia scelta - sottolinea Marco, senza alcun pentimento - non ero più in sintonia con loro. Erano troppo attaccati alle vecchie cose, come ad Anima mia. Grandissimo brano, ma poi nella musica bisogna sapersi rinnovare. Come hanno fatto i Pooh. Col tempo sono nate diatribe, anche sulla nostra immagine. E me ne sono andato».

Poi, la sassata: «Non mi hanno versato i contributi, si sono inventati mille sotterfugi. Sono tutti tirati con i soldi, ma a livelli estremi. Ed è finita male. Quella è gente fredda. Dopo la mia uscita, mi hanno messo i bastoni tra le ruote. Non volevano che usassi il nome della band. Ma per i primi 3-4 anni ho vissuto sulla scia della popolarità come ex voce dei Cugini di Campagna. Poi la cosa è andata scemando. E la situazione è precipitata». 


Marco Occhetti (in basso a destra)


Quasi tutti i giorni parte da Fiano Romano, paesino a Roma Nord dov’è cresciuta Sabrina Ferilli, per andare nel cuore della Capitale a far ascoltare la sua musica. «Sono un autore, ho tanti brani miei, scrivo spesso», precisa. Quando è in strada, oltre a ricevere la classica offerta libera, vende un cd “evergreen” a pochi euro con le cover di classicissimi, come Hey Jude, Wish you were here, Father and son, Your song «ma sono registrati male, a casa di un amico che mi aiutato con i mezzi che ha». Ecco, parliamo di solidarietà. «Nessuno, nessun artista italiano noto mi ha mai dato una mano, una possibilità. Non chiedo molto, soltanto di cantare». Anche i locali, i club, gli hanno chiuso le porte. «Domandano: quanto seguito hai? Devi portare la gente. Quante date mi garantisci? Ma io che ne so. È cambiato tutto, è diventato impossibile».

L’APPELLO

In coda al ragionamento si torna alla popolarità: «Qualche aficionados mi riconosce e si diverte. A volte canto Anima mia, ma preferisco farne a meno». Per un talent forse non ha l’età «e non ho conoscenze, tutto mi sembra preparato. Invece potrebbero invitarmi a qualche talk show, o anche chiamarmi come concorrente all’Isola dei famosi, visto che ci vanno spesso personaggi molto meno famosi di me». Questione di sliding doors. Anche quando insieme a Bruno Lauzi, poco tempo prima che morisse (nel 2006) «stavamo scrivendo un pezzo, “Brava gente”, che non siamo riusciti a notificare proprio per la sua scomparsa. Aveva il morbo di Parkinson, ma voleva aiutarmi. Sia chiaro, non me ne frega della canzone, la sua morte mi ha addolorato». Ora, dice, ha un «piccolo grande sogno: fare qualcosa a teatro, anche una cosa di nicchia». Sempre con l’anima. La sua. 
Michele Galvani Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero