Covid 19, parla un guarito: «Ragazzi è una guerra, aiutateci a vincere»

Covid 19, parla un guarito: «Ragazzi è una guerra, aiutateci a vincere»
«Voglio rendere testimonianza del dolore e dell'umanità che ho incontrato in ospedale. E ai giovani dico: siate consapevoli che siamo in guerra e lottiamo per la...

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«Voglio rendere testimonianza del dolore e dell'umanità che ho incontrato in ospedale. E ai giovani dico: siate consapevoli che siamo in guerra e lottiamo per la libertà». Paolo De Bonis, programmatore informatico 53enne di Fondi, una settimana fa si è ritrovato, all'improvviso, ricoverato al Dono Svizzero di Formia a seguito di polmonite da Covid. In casa avevano tutti contratto il Coronavirus da giorni, la moglie e i suoi tre figli, due ragazzi di 16 e 19 anni e una ragazza di 21 anni, ma soltanto lui presentava maggiori sintomi. La febbre non andava più via e così sono arrivato a Formia. Prima la tac e poi il ricovero», racconta al telefono.

Paolo è stato dimesso lunedì mattina ed è tornato a casa ancora sofferente, resterà in quarantena fin quando l'intera famiglia non si sarà negativizzata. Ma non è questo l'esperimento sociale che gli cambierà la vita: «E' il Covid che mi ha cambiato. Mi sento debole, spero di recuperare presto. L'esperienza al Dono Svizzero mi accompagnerà per tutta la vita, non potrò mai dimenticare quello che ho visto», spiega il 53enne di Fondi. «Ho incontrato dolore e umanità continua dopo una lunga pausa - Il mio vicino di letto è stato intubato e lo hanno portato allo Spallanzani. Vi giuro ho pianto, una scena straziante che non scorderò mai. Un uomo sulla settantina, in guerra da un mese. Poi si è aggravato, non riusciva più a respirare e non accettava il casco per paura di restarci soffocato dentro. Ho visto persone, infermieri e medici, al lavoro con il massimo impegno, mettendoci il cuore oltre che la competenza, rischiando in prima persona perché nonostante lo scudo del vaccino il rischio è sempre in agguato». Paolo sottolinea la profonda dedizione degli infermieri, chiamati a contratto: «Mai una lamentela, sempre pronti ad intervenire con il sorriso. Un sorriso rassicurante, una carezza per alleviare il dolore, in tutte le circostanze. Mario, il mio vicino di letto, finito allo Spallanzani, prima di essere intubato, rifiutava il cibo. Si vergognava, aveva paura che mangiando poi avrebbe anche sporcato. Mi sono commosso per l'opera di convincimento degli infermieri per farlo sentire a suo agio». Paolo lancia un messaggio ai giovani: «Siamo in guerra, ragazzi, e dobbiamo combattere tutti insieme. Dobbiamo lottare per riconquistare la libertà, altrimenti non ci sarà mai fine a questo incubo».


Rita Cammarone
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Il Messaggero