Cocoricò, quella piramide copiata dal Louvre diventata simbolo della trasgressione

Cocoricò, quella piramide copiata dal Louvre diventata simbolo della trasgressione
Si spegne la piramide illuminata, quella che secondo la leggenda Bruno Palazzi, il fondatore, copiò dal Louvre. Dall’alto della collina che si affaccia su Riccione, attirava...

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Si spegne la piramide illuminata, quella che secondo la leggenda Bruno Palazzi, il fondatore, copiò dal Louvre. Dall’alto della collina che si affaccia su Riccione, attirava adepti da tutto il pianeta del clubbing internazionale. Cocoricò, Riccione, Italia.




Cocoricò, forse l’unica parola che per differenti generazioni richiama il profumo della trasgressione e del divertimento sballato o semplicemente accelerato. In positivo si può raccontare che era (è) l’unico club italiano a comparire nella classifica delle prime cento discoteche più belle del mondo stilata da Dj Mag (nel 2014 era diciottesima, subito dopo il Dc10 di Ibiza e prima del Paradise di Mykonos). In negativo la morte di Lamberto, il sedicenne umbro ucciso dall’extasy, è solo l’ultimo capitolo di una storia con alcune pagine scure. I cronisti di nera di Rimini ricordano ancora “il delitto del Cocoricò”, un ragazzo ucciso nel parcheggio dopo un litigio all’interno del locale.



Primi anni Novanta, la violenza scuote quello che allora andava di moda chiamare divertimentificio. E poi una lista corposa di vite che scivolano via dentro una pasticca (una delle milioni che circolano lì come in qualsiasi altro angolo del Paese). «Dal diciannovenne che morì nel 2004 per abuso di metanfetamine al diciottenne che nel 2011 si sentì male per abuso di droghe e fu sottoposto al trapianto del fegato», ha sintetizzato ieri una scheda dell’Ansa. Ma raccontare il Cocoricò solo con una lista di precedenti sarebbe fuorviante.



L’INIZIO

1989, in una riviera che era quella raccontata da Pier Vittorio Tondelli (il romanzo ”Rimini” è di quattro anni prima), apre il Cocoricò. Innovativo, trasgressivo, al ”Cocco” entrava solo chi davvero dimostrava di sapere andare oltre, anche nel modo di vestire. Ricorda il dj Claudio Coccoluto: «C’era un’energia particolare. Era un’Italia differente. Più gioiosa, creativa e questo al Cocoricò era palpabile. Oggi invece tutto è più problematico, intriso dei guai del Paese. Palazzi portò l’arte contemporanea al Cocoricò, aveva idee innovative». Anno dopo anno, il rituale intenso della nottata sulla collina di Riccione - techno o house, a seconda del decennio o delle sale - è rimasto impresso senza scorie nei ricordi più lucenti di centinaia di migliaia di frequentatori; in parallelo si sono inseguiti gli effetti collaterali. Come quelle estati in cui andò di moda correre a tutta velocità con l’auto dallo stradone della collina di Riccione e bruciare il semaforo rosso, una roulette russa non di rado finita male (anche per chi passava di lì per caso).



Eppure, la nottata al Cocco era un’icona nell’immaginario, non certo solo per chi in Romagna ci abitava o ci andava in vacanza, ma per chi partiva anche da lontano. «Negli anni - ricorda Coccoluto - il Cocoricò è entrato nel circuito di quei club internazionali in cui un dj affermato prima o poi passa». Come l’Amnesia o lo Space a Ibiza, il curriculum del Cocoricò è arricchito dal passaggio di tutte le dj-star, da Carl Cox a Luciano. «Purtroppo in Italia - osserva Coccoluto - la sicurezza è delegata ai gestori, che spendono molti soldi, ma spesso sono impotenti. In Italia puoi entrare in discoteca a 16 anni, questo non va bene». Qualche settimana fa, il Cocoricò e San Patrignano - la comunità che sorge su una collina non lontana - hanno organizzato insieme un’iniziativa contro la droga. Ieri su Twitter ha preso forza l’hashtag #iostoconilcocorico. In molti (con una definizione vintage potremmo dire ”il popolo della notte”) pensano che la chiusura del club è inutile, non arresterà il fiume della droga che seguirà altri percorsi. Angie ha scritto: «Raga, l'anno scorso in sto periodo Andrea andò al Cocoricò e mi scrisse da ubriaco che gli mancavo #iostoconilcocorico». Chissà come racconterebbe Tondelli oggi la morte di Lamberto, la chiusura del Cocoricò, la riviera romagnola russificata, l’Italia. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero