Chaplin, il modernissimo

Chaplin, il modernissimo
IL CLASSICOGiuseppe Tornatore giura di averlo visto 33 volte, e domani lo vedrà per la trentaquattresima dopo averlo presentato, alle 21, al pubblico romano dell'Alcazar, dove...

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IL CLASSICO
Giuseppe Tornatore giura di averlo visto 33 volte, e domani lo vedrà per la trentaquattresima dopo averlo presentato, alle 21, al pubblico romano dell'Alcazar, dove Tempi moderni si vedrà per tutto dicembre ogni martedì.

Il suo autore e protagonista gli dedicò quasi un anno di riprese, un'enormità anche all'epoca, più il tempo necessario prima a scriverlo e poi a montarlo e a registrare la memorabile colonna sonora, la prima in cui Charlot parla, sia pure esprimendosi in un grammelot palesemente impastato di italiano e francese (il famoso «Io cerco la Titina...»).
Se a quasi ottant'anni dalla “prima” ne parliamo ancora come di un classico, è perché ha fissato in immagini definitive la tragicommedia del rapporto tra l'uomo e la macchina. E anche se non sempre i più giovani lo hanno visto per intero, chiunque si è imbattuto almeno una volta nella scena di Chaplin inghiottito dagli ingranaggi della fabbrica. Una scena che si rivedrebbe all'infinito per la perfezione plastica, la potenza metaforica e il timing geniale di quelle gag a catena, con l'omino alienato dalla catena di montaggio che stringe imperterrito i bulloni delle ruote dentate in mezzo a cui è caduto.
Altro che moderni insomma, i tempi di Chaplin sono modernissimi, anzi sempre contemporanei, in qualsiasi epoca. Anche oggi che si parla solo di era digitale e cultura immateriale, perché come ben vide Italo Calvino «è classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno». E Tempi moderni continua miracolosamente a parlarci del presente proprio perché trasfigura il lavoro in immagini di insuperabile forza poetica.
L'ALIENAZIONE
Tanta perfezione però non nacque di colpo come Minerva dalla testa di Giove, ma fu il frutto di infinite correzioni che oggi siamo in grado di ricostruire grazie al lavoro di scavo negli Archivi Chaplin compiuto dalla Cineteca di Bologna, presso cui da anni sono conservati tutti i materiali lasciati dal grande cineasta inglese (in uscita anche il dvd del film, con un documentario inedito e un ghiotto booklet).
Il tema del lavoro in fabbrica ad esempio, è tutt'altro che centrale nella prima sinossi, intitolata Commonwealth. E anche se la prima scintilla di Tempi moderni, girato fra l'ottobre del 1934 e l'agosto del 1935, risale alla visita agli stabilimenti della Ford compiuta da Chaplin nel 1923, per veder apparire ciminiere e catene di montaggio bisogna aspettare la seconda stesura, The Masses. Mentre vengono soppresse o scartate al montaggio piste secondarie come le difficoltà del vagabondo nel traffico della grande città. E si perdono per strada anche idee che oggi appaiono ridondanti o stravaganti.
LE VARIANTI
La fabbrica, ad esempio, prima produceva giocattoli, poi armi e munizioni. E quando gli operai per protesta mettevano nelle bombe gas esilarante, i poliziotti chiamati a reprimere uno sciopero si accasciavano ridendo a crepapelle (ma se si ride sullo schermo, com'è noto, raramente si ride in platea). Tra le scene scartate ci sono manifestazioni, proteste, cariche della polizia a cavallo. E in un primo tempo - anche questa scena fu girata, come si vede dalle foto - il personaggio di Paulette Goddard, musa e compagna del regista, non se ne andava col vagabondo verso l'orizzonte nel tipico finale chapliniano, ma si faceva suora e spariva.
Anche l'idea di limitare al massimo le scene parlate, benché il sonoro fosse arrivato ormai da 6 anni, e di elaborare un linguaggio immaginario per non sminuire l'universalità di Chaplin, maturò poco a poco. Nelle prime stesure tutte le scene principali, l'officina, la prigione, il furgone della polizia, i grandi magazzini, sono dialogate. Ma furono proprio queste scelte radicali a fare del film il capolavoro che è.
HITLER E MUSSOLINI

Un capolavoro così profondamente chapliniano, dunque anarchico e individualista, da schivare ogni strumentalizzazione politica. Cosa che non gli impedì di essere proibito perché «filocomunista» nella Germania nazista. Mentre in Italia la censura ritardò l'uscita di un anno ma poi si arrese. Perfino Mussolini, a quanto pare, lo vide divertendosi moltissimo (ma fece tagliare la scena in cui Chaplin carcerato senza saperlo si droga, l'idea stessa della droga era allora tabù). Meno illuminato suo figlio Vittorio, che in uno slancio di zelo stroncò il film sul Popolo d'Italia. Il resto, come si dice, è storia. E non solo del cinema.
Fabio Ferzetti
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Il Messaggero