Lilly ha gli occhi a mandorla. Un'età indefinita. Quel suo viso che «non riesci ad imparare» non fa trasparire i sacrifici, le gioie e i dolori di una vita passata all'ombra...
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Lilly è venuta con il marito negli anni Ottanta. Ha cominciato a lavorare come lavapiatti in una trattoria a due passi da Fontana di Trevi. Piano piano ha imparato la lingua ma soprattutto le specialità della Capitale. E così è arrivato il giorno che è stata promossa cuoca: e giù a preparare Amatriciana, Cacio e pepe e Carbonara. Nel frattempo è diventata mamma di una bambina.
Con il proprietario della trattoria, però, non andavano più d'accordo. E così Lilly, suo marito e un altro dipendente italiano hanno investito tutti i loro soldi e hanno aperto un altro ristorante. L'entusiasmo per la nuova avventura è stato subito spento da una terribile scoperta: una malattia inguaribile ha colpito il marito. Lui, per cercare di curarsi, è tornato in Cina ma non ce l'ha fatta.
Lilly è rimasta sola con sua figlia. E un ristorante a metà. Ma non finisce qui. Il socio ha deciso di abbandonare e lei ha continuato a testa bassa. E ne ha fatta di strada: ha assunto una cameriera ucraina, un lavapiatti pakistano e un'italiana come aiuto in cucina. Tra un «glazie» e un «plego» ha fatto studiare la figlia che si è laureata alla Luiss, ha trovato un buon lavoro e quest'estate si è sposata con un ragazzo italiano. Lilly ieri mi ha annunciato: «Ho venduto, so' stanca». E quando mi ha visto dispiaciuto ha detto «Ma che te flega? Ma che te impolta? Pensa alla salute».
davide.desario@ilmessaggero.it Leggi l'articolo completo su
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