Nizza, la banda dei jihadisti tra Bari e Nizza

Nizza, la banda dei jihadisti tra Bari e Nizza
Più passa il tempo, più gli elementi sul gruppo che appoggiava l’attentatore di Nizza, Mohamed Bouhlel continuano a fare la spola tra Francia e Italia. E, al...

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Più passa il tempo, più gli elementi sul gruppo che appoggiava l’attentatore di Nizza, Mohamed Bouhlel continuano a fare la spola tra Francia e Italia. E, al di là degli scetticismi dei primi giorni, sembra ormai chiaro che un gruppo fatto più di piccoli criminali che di convinti islamisti è stato fondamentale nel progettare il massacro. Con una eccezione, la più inattesa: l’apparentemente insospettabile Chokri Chafroud, il 37enne tunisino che ha passato parecchi anni in Italia, è stato l’altra mente del massacro. I controlli su Bouhlel avviati a Roma dal procuratore aggiunto Francesco Caporale e dal pm Francesco Scavo hanno permesso di ricostruire un ulteriore dettaglio: ad agosto quando per l’ultima volta è stato controllato a Ventimiglia, mentre lasciava il paese, Bouhlel era accompagnato non da una ma da ben quattro persone. Due franco tunisini come lui, con doppio passaporto, e due marocchini che avevano un permesso di soggiorno francese. L’Italia li cerca sul nostro territorio e su quello d’Oltralpe da dove però, considerato il caos delle indagini in corso, non è ancora arrivata nessuna risposta. Nell’elenco degli enigmi ora ci sono anche i loro nomi e salgono complessivamente a sette le persone legate all’attentatore che sono passate in Italia.


LE IMPRONTE DIGITALI
A colpire, più di tutti, è il profilo di Chafroud. L’ex general manager di un’elegante masseria tarantina è stato visto l’ultima volta a Gravina di Puglia appena alcune settimane fa. Oltre ai dialoghi su Facebook in cui già ad aprile scorso spiegava Bouhlel come dovesse compiere la strage, gli investigatori francesi hanno trovato a suo carico un dettaglio che non ammette repliche: nel cassone del tir che ha ucciso 84 persone ci sono tracce del suo dna. Insomma, non solo ha consigliato l’amico su tutti i dettagli dell’azione e l’ha sentito per telefono più volte il giorno del massacro, ma era al suo fianco mentre si preparava. Le indagini dovranno ora riuscire a spiegare se sia stata sua l’idea di mettere le riproduzioni di alcune armi, tra le quali un kalasnikov, nel cassone e a quale scopo. Nei giorni scorsi, il procuratore aggiunto di Bari Roberto Rossi è riuscito a rintracciare i “parenti” di Chokri (ma il concetto di parentela potrebbe essere lato) a Bolzano e li ha fatti sentire come persone informate sui fatti. L’ultima volta che è stato a Gravina, era con loro e sempre con loro è partito lasciando l’appartamento vuoto. Pochi giorni dopo, stando alle verifiche francesi, l’uomo era già a Nizza al fianco di Bouhlel. Alcune tracce interessanti potrebbero arrivare ancora una volta dal suo profilo social. Non tanto dalle sue foto, apparentemente neutre, ma dai profili degli amici, quasi tutti tunisini di Sousse.
  
LA DONNA ALBANESE

Altri controlli, infine, toccano la donna albanese Enkeledja Z. che insieme al compagno Artane H. avrebbe fornito a Bouhlel la pistola che aveva con se al momento dell’attacco. Quando ha passato il confine, sempre nell’autunno del 2015 e sempre fermata per un controllo a Ventimiglia, la donna era accompagnata da un uomo di nazionalità tunisina. Nel cassone del furgone che conducevano furono trovati nove “clandestini” che cercavano di arrivare in Francia, tra i quali tre siriani e tre eritrei e lei fu denunciata per favoreggiamento dell’immigrazione illegale. Né di lei né del compagno Artane la Polizia italiana è riuscita a trovare traccia in Italia e in particolare in Puglia. Ma visto che il tramite tra i due e l’attentatore è stato Chorki Chafroud gli investigatori italiani e francesi sembrano ormai convinti che sia stato pugliese il circuito criminale che ha permesso di far arrivare nelle mani di Boulhlel la pistola della strage.
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Il Messaggero