Evasione Apple, aria di patteggiamento

Evasione Apple, aria di patteggiamento
MILANO - E ora Apple potrebbe seguire la stessa strada di Google. Ovvero quella del patteggiamento con l’Agenzia delle entrate per sanare il contenzioso fiscale: «E’ molto...

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MILANO - E ora Apple potrebbe seguire la stessa strada di Google. Ovvero quella del patteggiamento con l’Agenzia delle entrate per sanare il contenzioso fiscale: «E’ molto probabile che decida di farlo.


Un accordo permette di limitare l’esborso a carico del gruppo», spiegano alla Procura di Milano. Per i magistrati che lunedì hanno chiuso le indagini nei confronti della multinazionale fondata da Steve Jobs, con tre manager indagati per omessa dichiarazione di 879 milioni di euro tra il 2008 e il 2013, è questa la soluzione che si profila. La società per il momento non si è fatta avanti e respinge le accuse: «Apple è uno dei più grandi contribuenti al mondo e paghiamo ogni euro di tasse dovute ovunque operiamo». Le autorità fiscali italiane hanno sottoposto a verifiche «le attività italiane di Apple nel 2007, 2008 e 2009 e hanno confermato che eravamo in piena conformità con i requisiti di documentazione e di trasparenza Ocse. Queste nuove accuse contro i nostri dipendenti sono completamente prive di fondamento e siamo fiduciosi che il procedimento arriverà alla stessa conclusione».



ALIQUOTA MINIMA

I magistrati però sono di parere opposto ed è il capo della Procura, Edmondo Bruti Liberati, a tirare le fila delle indagini. «Il team vendite di Apple Italia srl opera come agente dipendente per conto delle società irlandesi, avendo il potere di negoziare e decidere, in modo vincolante, tutti gli elementi e i termini dei contratti commerciali di compravendita relativi ai prodotti Apple destinati alla rete di distribuzione nazionale (grande distribuzione e compagnie telefoniche), siglati solo formalmente in Irlanda», ha spiegato ieri. Perciò i relativi redditi devono essere considerati come prodotti in Italia, perché derivanti da un’attività commerciale svolta nel nostro Paese da una società residente. Invece, «tali redditi vengono sottoposti a tassazione in Irlanda con applicazione di un’aliquota più favorevole, tra lo 0,06% e lo 0,05% rispetto a quella italiana pari al 27,50%». Insomma, se sulla carta Apple Italia svolge solo una specie di consulenza alle vendite di Apple Sales International, per i pm è invece una società operativa a tutti gli effetti: i venditori hanno ampia autonomia e seguono il ciclo di vendita, dagli ordini alla consegna, contrattando prezzi e sconti. Sarebbe quindi una «struttura organizzativa occulta» incaricata di concludere contratti per la consociata estera, negoziando condizioni economiche e contrattuali, quantitativi di merce, modalità e tempi di consegna. I magistrati hanno interrogato il personale e i clienti di Apple Italia e dalle deposizioni sarebbe emersa la «piena consapevolezza» che la firma sui contratti di Apple Sales International fosse un atto formale, poiché i contenuti sarebbero stati già definiti con la filiale nazionale.



Per tale motivo, ha sottolineato il capo della Procura, «agli indagati è contestato, nei relativi ruoli, l’aver omesso di dichiarare redditi prodotti in Italia dalle società irlandesi sopra indicate attraverso una stabile organizzazione occultata all’interno della Apple Italia srl, che formalmente svolgerebbe solo attività di marketing e supporto alle vendite». Mentre in realtà «ha il potere di decidere in modo vincolante» i contratti commerciali dei prodotti Apple per il nostro mercato. Sui quali, sostiene l’accusa, deve pagare le tasse all’Italia.

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Il Messaggero