Quando hanno letto il provvedimento del tribunale di Napoli, i lavoratori non ci hanno visto più. Con l’attività ridotta all’osso, da mesi in cassa integrazione, con...
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Il manager in questione, si chiama invece, Domenico Dabbasso, ed è un commercialista, a cui il magistrato ha assegnato l’incarico di amministrare tre aziende sotto sequestro del gruppo Ragosta, la Immobilgest Re, la Immobilgem e la Poligest. Secondo il provvedimento del giudice per Dabbasso le tabelle professionali dei commercialisti imporrebbero un compenso di 1,8 milioni di euro. Che la cifra sia enorme lo riconosce lo stesso magistrato, ma intanto anticipa 75 mila euro della somma. I lavoratori hanno subito preso carta e penna per protestare, inviando una lunga lettera al giudice. E poi hanno dichiarato uno stato di agitazione. «Se non si fermeranno», spiega Gaetano Tarantino, rappresentante dei lavoratori, «siamo pronti allo sciopero».
I MECCANISMI Le leggi antimafia prevedono che se un imprenditore è sospettato di avere legami con organizzazioni criminali, le manette non scattano solo per lui, ma anche per tutti i suoi beni, aziende comprese. Si chiama «sequestro preventivo». In questo caso la prova funziona al contrario: tocca all’imputato dimostrare che i suoi beni non sono frutto di attività criminali. Intanto il giudice può decidere il sequestro. E quando questo riguarda delle aziende, il magistrato nomina degli amministratori giudiziari. In Italia di aziende sequestrate ce ne sono 5 mila, per 2,5 miliardi di euro di valore.
Il problema è che le stesse statistiche dicono anche che 9 su 10 di queste falliscono. Il punto è anche un altro. La scelta degli amministratori è un potere discrezionale completamente nelle mani dei giudici che possono liberamente pescare da un elenco di 4 mila persone. Qualche settimana fa un servizio delle Iene su Italia 1, aveva sollevato il caso di un amministratore giudiziario palermitano, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, messo a capo di decine di aziende, cumulando oltre agli incarichi anche i compensi. Il tema non è nuovo. Lo aveva sollevato pubblicamente in un’audizione parlamentare, l’ex direttore dell’Agenzia dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso, che aveva sottolineato come la gestione degli amministratori spesso portasse al fallimento delle imprese e, in alcuni casi, all’arricchimento solo dei suddetti.
Uno dei temi più delicati è proprio quello dei compensi. Quanto guadagna un amministratore è una domanda che oggi non ha una risposta univoca per la mancanza di un decreto attuativo Così ogni tribunale fa a modo suo. Reggio Calabria è quello che paga di meno: tra i 1.000 e i 3.500 euro al mese. Santa Maria Capua Vetere, paga all’amministratore lo 0,45% del valore dell’azienda. Roma usa il tariffario nazionale dei dottori commercialisti: una cifra tra l’1 e il 2% della somma tra reddito lordo e attivo. È lo stesso criterio che ha usato il giudice napoletano. Significa che se un’azienda ha un patrimonio di 200 milioni, e ha ricavi per 10, all’amministratore possono andare fino a 4 milioni. Essere nominato amministratore in un gruppo con patrimonio a sei cifre, insomma, è come avere in tasca un biglietto del Superenalotto.
Il governo aveva messo in cantiere un Dpr nel quale limitava i compensi allo 0,3%. Poi se ne sono perse le tracce. Ma forse l’idea migliore l’hanno avuta gli stessi lavoratori della Immobilgest. Nella lettera al magistrato hanno chiesto che i compensi li paghi lo Stato e non l’azienda. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero