Vettel, il carattere pesa nella corsa al titolo. Guida la monoposto più veloce eppure è costretto a inseguire

Sebastian Vettel con uno dei suii ingegneri di pista
MONZA - La Ferrari quest’anno ha fatto proprio una gran macchina, la più veloce nella storia della Formula 1: mai una monoposto aveva percorso un giro di pista nella...

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MONZA - La Ferrari quest’anno ha fatto proprio una gran macchina, la più veloce nella storia della Formula 1: mai una monoposto aveva percorso un giro di pista nella lunga storia del Mondiale alla favolosa media di oltre 263 km/h. E la SF71H è pure affidabile poiché, a differenza della Mercedes di Hamilton che in Austria lo ha lasciato a piedi, la Rossa 2018 non ha mai creato problemi a Vettel. La formidabile miscela rossa, però, finora non è bastata e i titoli iridati sono tutt’altro che in cassaforte. Anzi bisognerà lottare sempre con il coltello fra i denti in tutte le ultime sette gare per cercare di riportare le corone iridate a Maranello interrompendo un digiuno più che decennale.

La Scuderia fa quadrato intorno ai suoi piloti, ci mancherebbe; l’impressione, però, è che con un rendimento diverso da parte di Sebastian il Cavallino ora potrebbe essere in fuga piuttosto che costretto a inseguire. Sarebbe sciocco solo farsi venire il dubbio che Seb non sia un campione, la sua carriera e anche questa stagione dimostrano che quando tutto fila liscio, non ci sono piloti più veloci e consistenti di lui, forse nemmeno Sua Maestà Hamilton.

L’erede di Schumacher è anche costante, difficile che abbia weekend in cui si addormenta. Quello che lo frega è il temperamento. Troppo focoso, spesso non sufficientemente lucido. Non eccelle in quella componente razionale che dovrebbe consentirgli di sfruttare al massimo le varie situazioni, quella lucidità che ha reso famosi driver magari non velocissimi come Stewart, Lauda o Prost (in realtà il francese era anche parecchio rapido).
Come lo aveva scherzosamente definito il compianto presidente Marchionne, che di scrutare negli uomini se ne intendeva assai, Seb in alcune giornate è più un «focoso italiano del Sud» che un gelido tedesco. Ieri forse era una di queste, davanti al proprio pubblico e sulla pista in cui ha vinto la sua prima gara, quando era ancora bambino.
Nulla da eccepire sul contatto, chiaramente una tipica situazione di gara in cui ha avuto la sfortuna di avere la peggio, ma con un Ferrari così stratosferica, in un momento in cui bisogna recuperare, arrivare solo quarti non è certo il massimo.

No, le due cose non sono in contraddizione. Anche se l’incidente non è certo colpa sua, Seb doveva prestare più attenzione a tenersi lontano dai guai, non cercare di attaccare subito Kimi buttandosi all’interno della Roggia lasciando scoperto l’esterno dove si è andato ad infilare quel volpone di Lewis. Diverse colpe le ha anche Kimi e la Scuderia non è riuscita ha sfruttare l’impostazione prima guida-gregario su cui ha sempre puntato e che ora tanti risultati sta dando alla Mercedes.


Le Rosse è quasi sicuro che in gara non avessero le energie per andare in fuga, ma Seb doveva marcare Lewis e non incalzare il compagno finlandese. Una volta assestata l’andatura, se ne aveva di più, il Kimi sarebbe stato invitato a farsi da parte. Raikkonen quando si è spento il semaforo è stato troppo aggressivo: invece di tenere la linea è andato a chiudere Seb come fosse un suo rivale. Forse la Mercedes avrebbe vinto lo stesso perché in gara ha utilizzato meglio le gomme (nessun accenno di blistering a differenza della Ferrari), ma non avremmo mai la controprova che la doppietta si poteva concretizzare se i due piloti avessero collaborato. Un passo falso che può avere conseguenze sul Mondiale e sicuramente peserà pure sulla riconferma dello scandinavo.
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Il Messaggero