ROMA - Mio padre Piero Taruffi, soprannominato la “Volpe Argentata” per via dei suoi precoci capelli bianchi ma soprattutto per la raffinata astuzia di gara, è...
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Proprio in quell’anno mio padre entrò a far parte del reparto corse Lancia e fu Gianni Lancia in persona a chiamarlo; da quel momento la casa torinese entrò ufficialmente nel mondo delle corse nella categoria Sport progettando una vettura versione racing: la Lancia D20 2900 cc con la quale mio padre prese parte alla sua prima ed unica 24 Ore di Les Mans in coppia con l’amico Umberto Maglioli. La Lancia D20 ribattezzata “tipo catenelle” era un prototipo e mio padre come sempre ne curò la meticolosa messa a punto. L’Ing. Gianni Lancia decise di far partire per primo Taruffi che dopo il primo turno di tre ore dette il cambio a Maglioli.
Purtroppo, causa un guasto meccanico, la corsa finì poco dopo con il rammarico di tutto lo staff Lancia. Un vero peccato soprattutto in considerazione degli ottimi risultati conseguiti dalla Volpe Argentata l’anno precedente(1952)che lo vide vittorioso a due Gp (Svizzera e Francia) oltre importanti gare che gli permisero di conquistare il 3° posto nel Campionato del Mondo Conduttori. Ma quello che lo distinse più di tutto dagli altri piloti di quell’epoca era la sua competenza da ingegnere meccanico e industriale che fin da giovanissimo gli permise di mettersi in luce con la sua Norton carenata (a parità di motorizzazione più veloce delle altre) con la quale nel 1932 vinse a sorpresa il Gran Premio di Monza ottenendo il giro più veloce a 170 chilometri di media.
Fu in quella occasione che Ferrari lo convocò immediatamente per un colloquio e subito dopo lo ingaggiò nella sua scuderia che allora correva con le Alfa Romeo.
In seguito gli studi aerodinamici si concretizzarono in progetti di creature del vento, bolidi sulle due e quattro ruote in grado di toccare velocità inimmaginabili per quei tempi come la Rondine Gilera carenata (oggi custodita nel museo Piaggio a Pontedera) con la quale nel 1937 sull’autostrada Bergamo-Brescia toccò i 274 km/h ed il famoso Bisiluro (Museo dell’automobile di Torino) motorizzato Maserati 4 cilindri con il quale nel 1951 sfiorò i 313 km/h sulla Fettuccia di Terracina, uno stretto nastro d’asfalto a schiena d’asino costeggiato da alberi e fossi dove personalmente avrei paura di sfiorare persino i 100 all’ora.
Rimaneva però un conto in sospeso: vincere una volta per tutte la Mille Miglia! Per ben 13 volte inseguì quel successo iniziato nel 1930 al volante di una Bugatti e concluso nel 1957, appunto 60 anni fa, con la vittoria al volante della Ferrari 315s un bolide in grado di raggiungere i 300km/h. Finalmente mio padre mantenne la promessa fatta a Donna Isabella (mia madre) di abbandonare le corse e così la foto del bacio della vittoria fece il giro del mondo.
Il Messaggero