Nissan, guida il pensiero. La tecnologia B2V consente di leggere e attuare le intenzioni del conducente

Un test della tecnologia B2V di Nissan
 LAS VEGAS - Per guidare l’auto basterà il pensiero. Molti ritengono che avverrà il contrario: sarà l’auto cioè a pensare per noi, ma...

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 LAS VEGAS - Per guidare l’auto basterà il pensiero. Molti ritengono che avverrà il contrario: sarà l’auto cioè a pensare per noi, ma non sarà proprio così. Lo sostiene Nissan che è proprio una delle grandi fautrici della guida autonoma e che, all’interno della propria strategia di Intelligent Mobility ha avviato studi sul cosiddetto Brain-to-Vehicle o B2V ovvero sull’auto capace di leggere le intenzioni del guidatore carpendole direttamente nel suo cervello.


La casa di Yokohama ci pensa da tempo, addirittura dal 2011, da quando ha avviato un progetto di collaborazione con l’École Polytechnique Fédérale di Losanna dove la Brain Machine Interface è una disciplina con un obiettivo chiaro e dichiarato: fondere l’intelligenza umana con quella della macchina. La casa giapponese ha presentato questa tecnologia al CES di Las Vegas lo scorso gennaio e poi l’ha sostanziata nella IMx Kuro, il concept svelato a marzo in occasione del Salone di Ginevra.

Va da sé che questo porta una rivoluzione nel rapporto uomo-macchina che, grazie all’intelligenza artificiale, raggiunge un livello di interazione praticamente paritario e letteralmente telepatico: immediato per i tempi (si parla di 0,2-0,5 secondi) e non mediato da alcuna interfaccia fisica se non da uno speciale caschetto, simile a quello per la bicicletta. Questo elmetto è capace di trasmettere le onde cerebrali di chi lo indossa al “cervello” della vettura che poi è la centralina preposta a “fondere” tutti i dati provenienti dall’esterno, attraverso i sensori e le connessioni dati varie, per guidare senza l’intervento fisico del guidatore, in piena sicurezza nel traffico.


Un concetto destinato a rivedere anche l’idea di auto a guida autonoma finora permeata nell’opinione pubblica: se infatti molti l’hanno immaginata come un robot eteroguidato dal cloud e dai chip, dovrà ricredersi, mentre chi se la rappresenta priva di volante e spogliata praticamente di ogni comando si è avvicinato di più alla realtà perché in una visione simile non sarà necessario alcun contatto o movimento fisico per governare la vettura. In un orizzonte simile, la guida autonoma appare di nuovo come una guida assistita avanzata nella quale a guidare sono due piloti: quello vero e la macchina, pronta a leggere le intenzioni del conducente, ad emendarle in caso di errore e a prevaricarle in caso di pericolo che l’essere umano stesso non ha rilevato. Sembra una cosa venuta da un altro pianeta invece è già possibile e, se è vero che ha potenzialità enormi, pone quesiti etici forse ancora più difficili di quelli posti dalla semplice guida autonoma. Ma anche e soprattutto a risolvere questi dilemmi serve il pensiero. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero