Honda, la scalata al Mondiale piloti: dall'affronto di Alonso e della McLaren al titolo di Verstappen con la Red Bull

Nella foto, a sinistra, Yamamoto responsabile Honda
C'era un tempo, neanche tanto lontano (2015), in cui un pilota (Fernando Alonso) alla guida della McLaren urlava via radio che il motore alle sue spalle spingeva come quello...

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C'era un tempo, neanche tanto lontano (2015), in cui un pilota (Fernando Alonso) alla guida della McLaren urlava via radio che il motore alle sue spalle spingeva come quello della GP2, l'allora categoria propedeutica alla F1. Quella power unit era della Honda il cui rientro nel Mondiale si stava rivelando decisamente complicato. L'affronto di Alonso, proprio sulla pista di Suzuka che è di proprietà della Honda, non venne dimenticato dal costruttore giapponese e quando il pilota spagnolo qualche anno dopo tentò per la seconda volta la conquista della 500 Miglia di Indianapolis, gli venne impedito di farlo con una monoposto dotata del propulsore Honda, il migliore in Indycar. E c'era un tempo in cui la McLaren dopo tre campionati difficili con il motorista giapponese, optò su spinta di Alonso per il Renault, per poi passare dopo due stagioni al Mercedes. La pazienza, virtù dei forti, è completamente mancata al team McLaren che oggi si morde le mani.

Eh sì, perché sei anni dopo, la Honda ha festeggiato con la Red Bull e Max Verstappen la conquista del Mondiale piloti. Una crescita poderosa, la chiusura di un cerchio di una avventura che pareva inizialmente devastante per l'immagine del marchio giapponese. La prima power unit, montata sulla McLaren, ebbe un battesimo traumatico: dopo un precedente filming day a Silverstone, Stoffel Vandoorne in due giorni di test a Yas Marina riuscì a coprire solo cinque giri al volante della MP4-29H, la macchina laboratorio. Colpa di un'affidabilità pressoché nulla. Era solo l'inizio della salita, e per molto tempo sembrava fantascienza che la Honda potesse centrare un altro iride, dopo l'ultimo conquistato nel 1991 con Ayrton Senna. L'abbinamento McLaren-Honda era divenuto mitico, a cavallo degli anni Ottanta e Novanta. Il revival, fortemente voluto dall'ex boss Ron Dennis, è stato invece un calvario. Di quelle tre stagioni (2015-2016-2017) si ricorda soprattutto l'infinità di inconvenienti e battute a vuoto: a volte era un trionfo tagliare traguardo, pur con piloti del calibro di Jenson Button e soprattutto di Fernando Alonso.

Masashi Yamamoto, responsabile del progetto F1 per il costruttore del Sol Levante, non rinnega però nulla: "Tutto ciò che ci ha permesso di lottare per il campionato è stato costruito durante il periodo con la McLaren. È un peccato, ci rispettavamo troppo a vicenda e non ha funzionato, non abbiamo fatto click. Abbiamo imparato molto da quei giorni, e così possono essere visti in modo positivo, anche se fu dura". Con McLaren i problemi erano soprattutto di dialogo, di metodologia e, come poi si è appreso, anche di telaio che mal si adattava al motore Honda. Con la Red Bull è cambiato tutto: la squadra anglo-austriaca, stufa della Renault, voleva un fornitore per cui essere il punto di riferimento, ed ecco l'accordo con la Honda dal 2019. Andò subito bene (podio al primo Gran Premio, in Australia), ma fu fondamentale il precedente anno di "rodaggio" con la sorella minore Toro Rosso, l'odierna AlphaTauri. "Fu ideale, perché non è un team così grande. Alla seconda gara insieme abbiamo ottenuto il quarto posto in Bahrain e questo ci diede tantissima fiducia sulle nostre capacità", ha raccontato Yamamoto. "Ovviamente volevamo unirci alla Red Bull, ma non era programmato da subito. Helmut Marko mi disse che avrebbero deciso dopo aver visto i risultati della Toro Rosso, ed è stato bello raggiungere l'obiettivo sotto quella pressione".

L'intesa fra Red Bull e Honda si è rivelata ottima: entrambe hanno trovato ciò che cercavano. Un successo soprattutto per i nipponici, e una rivalsa verso l'ex partner McLaren. Il rapporto con la Red Bull è stato invece basato sulla fiducia reciproca, mentre la Honda non si è mai risparmiata nell'inseguire i primi della classe, quelli della Mercedes. Nemmeno quando, a ottobre 2020, i vertici aziendali decisero che l'impegno in Formula 1 sarebbe terminato dopo il 2021, per motivi strategici. Ma la garanzia era di dare il massimo fino all'ultimo, nella speranza di lasciare da campioni. Missione compiuta, ma soprattutto promessa mantenuta.


In realtà l'uscita di scena sarà graduale: ceduti materiali e proprietà intellettuale alla Red Bull, che fino al 2025 andrà avanti in autonomia attraverso la nuova divisione Powertrains, Honda nel 2022 darà ancora supporto di risorse e di tecnici per facilitare il passaggio di consegne. E non si esclude un altro capitolo in Formula 1, più avanti: "Personalmente credo di sì, torneremo", aveva affermato Yamamoto qualche settimana fa. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero