ZAFFENHAUSEN - Le fabbriche tedesche ora producono qualità della vita. La novità arriva da Zuffenhausen, dieci chilometri a nord di Stoccarda e storica sede della Porsche, dove,...
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Ma il bello di questa storia è che i 3.500 «fortunati» non sono unâeccezione. Porsche infatti ha scelto di coccolare uno a uno i suoi quasi 19.000 dipendenti, e lo fa con modalità che la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani si sogna e che costituiscono materia di riflessione per sindacati e datori di lavoro di casa nostra. Qualche esempio? Nellâazienda tedesca vige un accordo firmato con il sindacato unico Ig Metal che si chiama âStrategy 2018â e che - compatibilmente con le esigenze aziendali - permette unâampia variazione dellâorario di lavoro individuale in un range fra le 20 e le 35 ore.
«Siamo molto esigenti, ma cerchiamo di consentire alla gente di cucire il lavoro sui bisogni individuali - conferma Achim Schneider, un portavoce della Porsche - Riduciamo l'orario temporaneamente a coloro che ne hanno bisogno per problemi seri come l'aiuto a figli o genitori. E non è rara la concessione di sabbatici». Ancora: le coppie di dipendenti Porsche possono sommare o sottrarsi a vicenda ferie e permessi dando vita ad una sorta di banca delle ore familiare. Nel menu dellâufficio personale della casa, ovviamente, non ci sono solo riduzioni di orario. «Nel nostro quartier generale e nel centro ricerche di Weissach gli ingegneri spesso lavorando 40 ore e più a settimana - sottolineano a Stoccarda - La flessibilità ci garantisce un vantaggio: sono pochi i dipendenti qualificati che ci lasciano».
Ma cosa spinge una società tedesca a trasformarsi in un piccolo paradiso del lavoro? Innanzitutto seri segnali di rarefazione della manodopera qualificata. In Germania câè poca disoccupazione. Dunque lâIg Metal dispone di parecchie carte nel suo mazzo e non a caso il testo di âStrategy 2018â inizia così: «La Porsche vuole incrementare la propria competitività e attrattività come datore di lavoro» e prosegue delineando «modelli di lavoro orientati alle fasi della vita e al rispetto dei diversi stili di vita dei lavoratori». Tutte frasi contenute nel comunicato di Porsche che annunciava lâintesa.
Con âStrategy 2018â lâazienda e lâIg Metal hanno concordato obiettivi comuni come quello di aumentare le vendite anno per anno e di mantenere profitti superiori al 15% del fatturato. In cambio di questi risultati Porsche ha deciso di «essere un datore di lavoro eccellente». E come datore di lavoro i risultati dellâazienda parlano chiaro: nel 2010 i dipendenti erano 12.700, sono saliti nel 2013 a quota 18.900 (oltre 16.000 in Germania). L'azienda nega dati ufficiali sull'aumento della produttività che però emergono ugualmente facendo due conti sulle punte delle dita. Si scopre così che nel 2010 i lavoratori Porsche hanno assemblato 95 mila vetture salite a 162.000 l'anno scorso. L'impennata della produzione è notevole: +71%. Contro una crescita dei posti di lavoro pari al 48%.
Dunque è lâaumento della produttività che consente a Porsche di trattare i suoi lavoratori con i guanti gialli. Ma flessibilità e cura delle relazioni sindacali e umane non sono le sole chiavi di lettura di questa favola made in Germany. Una grossa mano alla buona salute dellâazienda, ad esempio, arriva da una logistica maniacalmente efficiente. Indagando sul caso, ad esempio, si scopre che Stoccarda invia ai fornitori italiani ordini molto dettagliati e con 30 giorni lavorativi di anticipo. Freni o sospensioni made in Italy devono essere consegnati secondo un preciso ordine di produzione pianificato un mese prima per ogni turno di assemblaggio, in modo che Porsche non perda soldi per mettere ordine nelle forniture o stoccarle in magazzino.
Un altro segreto è il rapporto con la scuola che produce a basso costo figure professionali giovani ma di spessore. «In Germania è normale che gli studenti degli istituti tecnici frequentino per tre anni scuola e fabbrica al tempo stesso», assicura Schneider. «Questa bella storia insegna moltissimo a noi italiani - chiosa il professor Angelo Bolaffi, germanista - E' figlia di una coesione sociale molto forte, di una classe dirigente capace e di un modello di relazioni sindacali collaborativo, la Mitbestimmung, dove imprese e sindacati non solo non si combattono ma si parlano e fanno a gara nellâassicurare un futuro brillante alle aziende. Prima o poi dovremo adottarlo anche noi». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero