ROMA - Non è un mistero, ma si sa: le auto presidenziali hanno sempre affascinato, perchè oltre rappresentare le vere e proprie ammiraglie e portabandiera del paese,...
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Una storia interessante riguarda anche le vetture dell'Eliseo, ed è legata al Generale De Gaulle, presidente dei francesi dal 1959 al 1969. Poco dopo il suo insediamento alla Presidenza della Repubblica, De Gaulle fece pressioni perchè il parco auto dell' Eliseo venisse rinnovato. La scelta cadde sulla Citreon DS19, vettura che incarnava perfettamente quell'ideale di grandezza della Francia, la celebre “grandeur” a lui così caro.
Da allora ogni spostamento, parata, apparizione pubblica di ministri e deputati, ma anche di sindaci e prefetti, era accompagnato da uno stuolo di nerissime DS, che divennero immediatamente il simbolo stesso della presenza dello Stato.
Lui, De Gaulle, la DS19 se l’era comprata, e così fu per tutte le DS che utilizzò, ovviamente nera, dal suo concessionario di fiducia, era una berlina normalissima, senza alcuna separazione tra i posti posteriori e l’autista: il suo chauffeur lo considerava un amico e un confidente, non avrebbe accettato “muri” tra lui e il suo autista, che spesso raggiungeva sul sedile anteriore durante gli spostamenti più lunghi, per poter conversare con più comodità.
Ma, nell’agosto del 1962 De Gaulle rientrò a Parigi dalle vacanze estive per un consiglio dei ministri urgente. Per farlo, un aereo l’aveva portato fino all’aeroporto militare di Villacoublay, da dove una DS19, scortata da poliziotti in motocicletta, l’aveva portato a Parigi.
Alla sera, al momento di tornare a Villacoublay, un gruppo di terroristi aprì il fuoco contro la DS del Generale. Il convoglio passò senza feriti, ma con la DS del Generale che aveva due pneumatici (uno anteriore, l’altro posteriore) a terra. Ciononostante, l’autista riuscì a guadagnare velocità e seminare gli attentatori.
Questo episodio pose grossi problemi alla scorta del Generale che non voleva sentir parlare di auto blindate per i suoi spostamenti. De Gaulle amava il contatto con la gente e per raggiungerla usava raramente aerei ed elicotteri, preferendo di gran lunga la sua DS. Alla fine, seppur malvolentieri acconsentì allo studio di una DS blindata speciale per la Presidenza della Repubblica. Del progetto, fu incaricata una equipe guidata dal giovane Robert Opron, allievo di Flaminio Bertoni; la costruzione fu affidata alla celebre carrozzeria Chapron, di Levallois, che da alcuni anni collaborava strettamente con Citroen per la produzione delle Cabriolet su base DS.
La fase di design iniziò nel 1964, ma la scomparsa di Flaminio Bertoni avvenuta pochi mesi dopo e l'imminente arrivo di una nuova versione della DS19, fecero slittare la progettazione fino alla seconda metà del '65, quando fu presentata la nuova DS21.
Si racconta che il Generale e la moglie furono invitati a Levallois per vedere la maquettein legno della nuova vettura. De Gaulle scosse vigorosamente la testa davanti a quella specie di portaerei che era la nuova “Presidentielle” soprattutto quando scoprì che il divisorio blindato interno era spesso diversi centimetri, inamovibile e non abbassabile, un muro.
Ci volle un po’ di tempo per calmarlo, ma alla fine De Gaulle dopo aver provato la seduta entrando nella maquette, si alzò, salutò i convenuti e tornò all’Eliseo. Si poteva procedere!
L'auto targata 1 - PR - 75 fu consegnata nel 1968, ma il Generale la utilizzò in totale tre sole volte, in occasioni ufficiali, preferendogli la sua nuova DS21 Pallas, acquistata, come sempre, dal suo amico concessionario.
Dopo aver perso il referendum da lui voluto nel 1969 sulla riforma costituzionale, Charles de Gaulle si dimise, lasciando la guida del Paese a Georges Pompidou. Il nuovo presidente utilizzò più spesso la grande “Presidentielle”, ma nel frattempo le mode erano cambiate ed il design della “1-PR-75”, irrimediabilmente invecchiato.
Così tornarono in auge le classiche berline DS di serie, affiancate, per le occasioni ufficiali da due SM cabriolet a quattro porte che fanno ancora parte delle scuderie dell’Eliseo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero