Non c’è dubbio, è stato Luca di Montezemolo a creare la “nuova Ferrari”, quello che è adesso. Qui sotto, oltre che un sintesi dei 23 anni di presidenze con i passaggi...
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Montezemolo e la Ferrari, una storia di successo. Enzo Ferrari ha fondato la Scuderia poi diventata casa automobilistica e l’ha guidata fino alla sua scomparsa nel 1988 quando Fiat era già azionista. Luca di Montezemolo, che aveva già lavorato con successo a Maranello come direttore sportivo per volere di Gianni Agnelli negli anni Settanta, è diventato presidente (sempre per scelta dell’Avvocato) nel novembre del 1991. Un autunno freddo a Maranello.
La stagione di F1 si era chiusa in modo disastroso, peggio di quella attuale: Alesi 7° con appena 21 punti, Capelli quasi tutti ritiri. «Se penso che lo scorso anno avevamo Mansell e Prost...», fu uno dei primi commenti del Presidente. La situazione non andava meglio nelle vetture di serie: produzione superiore alla domanda, cassa integrazione, prodotti con critiche alla qualità. C’era tanto da costruire più che da ricostruire e Montezemolo ha fatto tanti passi avanti e pochissimi indietro, dimostrandosi manager globale e grande esperto di marketing.
Ha anticipato la crisi europea e quella italiana, il Cavallino doveva cercare nuovi territori da affiancare all’America, già all’epoca il mercato più grande. Due strade parallele lo sport e le vendite, le vittorie e l’esclusività, l’emozione e la sostanza. Tanta fantasia, ma pure concretezza. Il titolo di F1 mancava da Maranello dal 1979, alcuni credevano non ci sarebbe tornato più. Montezemolo prima che i risultati cercò gli uomini, portò a Maranello Jean Todt allora quasi sconosciuto. Insieme decisero di puntare su Schumi e sui suoi fedeli tecnici, Ross Brawn e Rory Byrne, una squadra diventata invincibile ed entrata nella leggenda.
Una sporadica vittoria di Berger nel ’94, poi quelle di Michael nel ’96 e il titolo perso all’ultima gara l’anno successivo. Ancora due anni di attesa poi 5 Mondiali di fila e un dominio assoluto. La vecchia fabbrica di Enzo Ferrari, intanto, veniva ricostruita pezzo pezzo, senza lasciare nella al caso: efficienza, tecnologia, rispetto ambientale e dei dipendenti. Fino a diventare un riferimento mondiale, l’oggetto del desiderio dei giovani di mezzo mondo. La produzione cresceva poco, aumentava invece il fatturato, l’immagine, gli utili e il valore del brand.
Si allargava la gamma rimanendo fedele all’impostazione del Drake: «Non vendiamo auto, ma sogni». I vari modelli mantenevano intatte le loro prestazioni super, ma diventavano sempre più utilizzabili, affidabili, sicuri: auto da usare non solo da esporre. «Ferrari diverse per ferraristi diversi» era la formula coniata dal Presidente alla presentazioni della “comoda” California e a quelle della versatile FF (4 posti e anche la trazione integrale).
Spariva il pedale della frizione (la Ferrari è stata la prima ad utilizzare il cambio attuato con le levette dietro il volante) arrivavano i freni in carbonio, prendeva quota il marchandising, più ambito di quello del Real Madrid e del Machester United. Nessun ferrarista ha più chiesto lo sconto, quasi tutti vanno a Maranello a definire la loro vettura che sarà diversa da tutte le altre. Infine il reparto auto d’epoca per ripristinare i gioielli del passato: non è un caso che 9 delle 10 vetture più care mai vendute all’asta siano proprio delle Ferrari.
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Il Messaggero