Honda, torna l'Africa Twin: la leggenda della regina del deserto

La XRV650 Africa Twin diventò un modello di serie nel 1988, ma quel che più contava e che il look e il sapore erano quelli della moto capace di sfrecciare a 200 km/h sulle dune e di arrivare ovunque l’immaginazione e la voglia di avventura le chiedess
ROMA - Un mito costruito sulla sabbia, montagne di sabbia, anzi dune. Certe metafore sulla solidità non si adattano certo all’Honda Africa Twin, la moto che ha...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
ROMA - Un mito costruito sulla sabbia, montagne di sabbia, anzi dune. Certe metafore sulla solidità non si adattano certo all’Honda Africa Twin, la moto che ha fondato il proprio successo e la propria immagine sulle imprese consumate nella solitudine e nei pericoli del deserto. Lei e i piloti che l’hanno portata in trionfo alla Parigi-Dakar, lei e chi ne ha fatto quello che è giusto fare quando si corre: un laboratorio di idee e soluzioni che non sono solo tecniche, ma creano qualcosa che entra indelebilmente nella testa anche di chi non l’ha mai infilata in un casco.


La Honda invece nel 1978 aveva subito capito che la Parigi-Dakar era un fenomeno di costume, una sfida tecnica e umana degna di un costruttore che non ne ha mai lasciata una sul tavolo. Raramente alzandosi con meno fiches di quelle che aveva poggiato sedendosi. E andò così anche nel 1982, quando la casa di Hamamatsu schierò la XR550R cavalcata dal francese Ciryl Neveau, che a Dakar era stato il primo centauro ad alzare le mani al cielo, non solo per esserci arrivato vivo. E si era concesso una replica anche l’anno successivo, sempre in sella di una Yamaha.

Ma le altre tre edizioni (1982, ’86 e ‘87) del suo palmares le avrebbe conquistate tenendo il manubrio di una Honda, le ultime due sulla NXR780 che avrebbe vinto anche le due edizioni successive con l’italiano Edi Orioli (che ne avrebbe vinte altre tre) e Gilles Lalay. Era proprio quella la sorella dell’Africa Twin, un nome che diceva molto di più di una sigla di lettere e numeri: il luogo del trionfo e una coppia di gemelli. Fossero i cilindri o i serbatoi che, come le gobbe di un cammello, servivano per navigare da un porto all’altro della corsa, non importava: era nato il mito di una moto capace di portarti dai boulevard parigini, farti scendere nell’Inferno del Sahara e farti risorgere in Senegal, guardando l’Oceano Atlantico.

La XRV650 Africa Twin, sigla di progetto RD03, diventò un modello di serie nel 1988, ma quel che più contava e che il look e il sapore erano quelli della moto capace di sfrecciare a 200 km/h sulle dune e di arrivare ovunque l’immaginazione e la voglia di avventura le chiedessero di andare. Persino i colori erano quelli della Honda Racing Corporation che l’anno successivo avrebbe deciso di abbandonare la Parigi-Dakar, almeno ufficialmente perché i piloti privati continuarono eccome ad utilizzarla nell’allestimento Marathon. La RD04 arrivò nel 1990 con il motore portato a 750 cc, la potenza salita da 49,5 cv a 57 cv e una vocazione che, in linea con il percorso agonistico di Honda, era più distante dal fuoristrada e più vicina al turismo.


La RD07 aveva 60 cv e una carenatura ancora più protettiva, ma soprattutto un telaio diverso, dotato di un baricentro più basso per aumentare la maneggevolezza della moto. Uscì nel listino solo nel 2003 ed è riapparsa solo ora. Ha un motore a cilindri paralleli invece che a V, cilindrata di un litro e 95 cv, una linea nettamente più smilza, quasi dopo aver passato 20 giorni nel deserto, quasi che la sabbia non l’avesse mai inghiottita, ma custodito intatto il suo mito.
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero