Ghosn torna in cella a Tokyo, l'ex ceo di Nissan scaricato ora anche da Renault

Carlos Ghosn, ex ceo Nissan
TOKYO - Quarto ordine di arresto per Carlos Ghosn, dal fermo di metà novembre, e a meno di un mese dal rilascio su cauzione, dopo aver trascorso più di cento giorni...

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TOKYO - Quarto ordine di arresto per Carlos Ghosn, dal fermo di metà novembre, e a meno di un mese dal rilascio su cauzione, dopo aver trascorso più di cento giorni in un centro detentivo. Una pratica considerata inusuale in Giappone, ammette la stampa locale, e il cui sistema giudiziario finisce ancora una volta sotto i riflettori per l’abuso di potere della magistratura. Un giudizio di merito che fino a qualche tempo fa sembrava collidere con l’alleato francese, ma che adesso inizia a perdere vigore, dopo le ultime decisioni del Consiglio di amministrazione della Renault. Alla prima ratifica, scontata, delle dimissioni di Ghosn dal Cda, sono seguite le accuse di «pratiche discutibili e occulte da cui derivano violazioni dei principi etici del Gruppo», e in ultimo la delibera di non versare la sua pensione-vitalizio di 765.000 euro all’anno; ufficialmente per il mancato espletamento di procedure burocratiche.

 

In ambito di contestazione anche il pagamento di 50.000 euro ricevuto a titolo personale dall’ex top manager, grazie ad un accordo di sponsorizzazione con il palazzo di Versailles, dove aveva celebrato il suo ricevimento di nozze nel 2016, e le «gravi carenze in termini di trasparenza finanziaria e di procedure di controllo delle spese» nel caso relativo alla filiale comune olandese Rnvb. Secondo il pubblico ministero giapponese, l’ex presidente di Nissan-Renault-Mitsubishi Motors è responsabile di aver causato una perdita di 5 milioni di dollari alla casa auto nipponica in seguito al trasferimento di fondi societari per un valore di 31 milioni di dollari a una succursale dell’Oman, a partire dal 2012. L’importo che poteva essere impiegato da Ghosn a sua discrezione in virtù del suo ruolo, sarebbe stato trasferito utilizzando una società controllata dalla moglie, mentre il referente in Oman era un conoscente dell’ex tycoon, che di fatto risultava l’intestatario.


Altri indizi riguardano l’acquisto di uno yacht di lusso per l’utilizzo personale della famiglia e lo smistamento di ulteriori capitali ad una società di investimento negli Usa, dove lavora il figlio di Ghosn. Parole dure sono state pronunciate dal capo del team della difesa, Junichiro Hironaka, secondo il quale il pubblico ministero sta cercando di ‘tappare la boccà al suo assistito, tenendolo in custodia. L’azione risolutiva dei magistrati segue infatti di un giorno la comunicazione ufficiale di Ghosn via Twitter di voler raccontare la verità durante una conferenza prevista per l’11 aprile. Un capovolgimento imprevedibile per l’ex numero uno del gruppo automobilistico, lungo un tragitto di ritrovata convergenza per i tre costruttori auto, uniti nel tentativo di limitare l’impatto dello scandalo sull’immagine del marchio. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero