Federazione del Mare, il rilancio dei porti italiani a rischio per iniziative europee sulla fiscalità

Il porto di Genova
ROMA - Imposizioni fiscali sui canoni di concessione o autorizzazione percepiti dalle Autorità di sistema portuale? Sarebbe una iattura che rischierebbe di compromettere il...

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ROMA - Imposizioni fiscali sui canoni di concessione o autorizzazione percepiti dalle Autorità di sistema portuale? Sarebbe una iattura che rischierebbe di compromettere il rilancio dei porti italiani. L’incremento di costo che ne deriverebbe, infatti, andrebbe nel senso opposto al recupero di competitività. L’allarme viene dalla Federazione del mare che parla di un «possibile incremento dei nostri costi portuali conseguente alle iniziative degli uffici della Commissione europea. Si ha infatti notizia - aggiunge la Federazione - dell’eventualità di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia». La Federazione del Mare teme conseguenze fortemente negative sulle stesse capacità produttive dell’industria nazionale: «l’Italia è infatti un grande paese manifatturiero con poche materie prime, un’economia di trasformazione che si approvvigiona per lo più via mare dall’estero e i cui prodotti vengono esportati spesso oltremare». I dati forniti sono quanto mai eloquenti. «L’Italia - sottolinea la Federazione del mare - importa oggi per mare attraverso i porti 200 milioni di tonnellate di merci e ne esporta 70 milioni (Eurostat 2016). A ciò si aggiunge il trasporto marittimo interno di merci, che si situa attorno ai 95 milioni di tonnellate.


Complessivamente, per i porti italiani passano annualmente 480 milioni di tonnellate di merci: tra queste,180 milioni di merci liquide, 70 milioni di tonnellate di rinfuse solide, 220 milioni di merci varie (di cui, 95 milioni di tonnellate su rotabili e 120 milioni in container). In questa enorme quantità di merci che si sposta attraverso il sistema marittimo e i porti, ci sono parte delle fonti energetiche fossili, come greggio e gas, e poi merci che interessano direttamente la nostra produzione manifatturiera: prodotti petroliferi raffinati, manufatti in metallo, prodotti agricoli e alimentari, minerali, prodotti chimici e articoli in plastica e gomma, materiali edili, legno e carta, prodotti a elevato valore aggiunto come apparecchiature e macchinari, mezzi di trasporto, mobili. Né bisogna dimenticare che il turismo interno e internazionale gioca e giocherà sempre di più un ruolo chiave nello sviluppo italiano: oggi i movimenti dei passeggeri nei nostri porti superano i 45 milioni, di cui 11 milioni relativi ai crocieristi. Anche questo traffico di persone transita attraverso i nostri porti e i concessionari che vi operano».


E infine l’appello al governo. «Non può sfuggire - conclude la Federazione del mare - che, per un’economia così integrata nelle attività marittime internazionali, come quella italiana, e per un paese dalla forte dimensione insulare qual è il nostro, aumenti nei costi portuali avrebbero conseguenze del tutto negative sull’andamento dei prezzi e sulla crescita. Per questo, il cluster marittimo chiede al Governo un’attenta valutazione politica della questione e una reazione adeguata». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero