ROMA - Un fiume in piena. Per dare ulteriore visibilità al suo piano, Sergio Marchionne sceglie Firenze e l’assemblea di Confindustria, un tandem con cui nel recente passato ha...
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Cinque priorità da centrare in 90 giorni. Davanti agli industriali fiorentini, il numero uno di Fiat e Chrysler rivendica di parlare come uno di loro, non da economista né da politico: «Siamo in una situazione di emergenza, dobbiamo agire rapidamente, nessuno può sottrarsi. È necessario cancellare opposizioni e divisioni, servono interventi rapidi e incisivi. Le responsabilità vanno ripartite fra chi ha governato e chi si è reso complice dell’inerzia. Non spetta a me dire cosa bisogna fare, scegliete 5 cose più importanti, quelle che possono veramente influire sulla vita delle persone, datevi 90 giorni di tempo per realizzarle e poi passate alle 5 successive».
Carico fiscale inostenibile, occupazione la priorità. Il manager italo-canadese qualche indicazione sul percorso da fare la dà: «Basta con la cantilena del non si può fare, è indispensabile ridurre il carico fiscale ormai insostenibile per i cittadini, bisogna eliminare le restrizioni per le imprese come i vincoli imposti da una riforma del lavoro già in parte abortita. Ma la vera emergenza è l’occupazione: dare lavoro deve diventare l’unico vero obiettivo per chiunque abbia a cuore le sorti di questo paese». Dopo aver dipinto il quadro generale, Marchionne passa alla sua Fiat, ricordando i punti cardine del discorso fatto all’assemblea degli azionisti. «Non siamo più quelli di dieci anni fa, quell’azienda non c’è più. Se non avessimo agito con coraggio e determinazione avremmo già portato i libri in tribunale».
Il coraggio avuto dalla Fiat. L’ad rivendica la scelta della globalizzazione, prima l’accelerazione in Sud America, poi l’avventura con Chrysler. Ricorda i numeri, tutti abbastanza negativi rispetto a quelli attuali. Otto anni fa, senza le attività di Industrial, Fiat fatturava solo 27 miliardi di euro, il 92% dei quali in Europa, aveva poco più di 100 mila dipendenti e perdeva oltre un miliardo. «Abbiamo faticato a cancellare certi pregiudizi e ancora non ci siamo riusciti: la scarsa qualità dei prodotti, l’ingerenza politica e, peggio ancora, l’azienda che vive sulle spalle dello Stato. Dal 2014 abbiamo investito oltre 23 miliardi in Italia e non vogliamo aiuti.
Pace fatta con Firenze e il camper del sindaco. Utilizziamo i profitti fatti all’estero per sostenere le fabbriche nel nostro paese, nessuna verrà chiusa, nel giro di 3 o 4 anni tutte torneranno alla piena occupazione». Marchionne ha scherzato con Renzi dopo lo scontro dello scorso ottobre: «E’ stata una bischerata, le mie frasi sono state tradotte male. Ho provato a vendere un’auto al sindaco, ma non ci sono riuscito. Anche il camper con cui ha fatto la campagna elettorale aveva un brand straniero. Eppure quel mezzo è costruito in Italia nei nostri stabilimenti. Un caso di esterofilia di ritorno...». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero