Tutti lo conoscono come “il talebano americano”, in realtà si chiama John Walker Lindh. Viene dalla California, ha 38 anni e da giovanissimo si è...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Appena adolescente, John fu folgorato dall'Islam, convertendosi e abbandonando casa e famiglia a soli 17 anni per andare a studiare arabo in Yemen. Partito con i libri, nel 2000 si ritrovò ben presto in Afghanistan in un campo di addestramento di Al Qaida come volontario talebano, dopo una breve permanenza in Pakistan. Ai giorni dell'arresto risalgono le sue ultime immagini: sporco, emaciato, esausto. Se fosse stato un afgano o un arabo, sarebbe certamente finito a Guantanamo come tanti altri talebani e qaedisti catturati in quei giorni. Ma Lindh è un cittadino americano, e per questo gli è stato concesso un regolare processo davanti a una corte federale statunitense. Davanti ai giudici al momento della sentenza pianse e rinnegò il terrorismo in tutte le sue forme, definendo gli attentati di Osama bin Laden «assolutamente contrari all'Islam». Poi però negli anni in carcere non ha mostrato particolari segni di pentimento, e diversi rapporti lo descrivono come una figura ancora ambigua.
Prigioniero diligente, dedito allo studio, ma anche freddo, riservato, distaccato. Una scheda redatta nel 2017 dall'antiterrorismo lo descrive come uno che non ha cambiato idee, che continua a invocare la jihad globale e si diverte a tradurre testi violenti ed estremisti. Sempre nel 2017 le autorità carcerarie svelano come Lindh abbia più volte espresso sostegno allo Stato islamico. In tanti contestano la sua scarcerazione, convinti che rappresenti una minaccia alla sicurezza nazionale. Anche se a John sarà vietato navigare online, avere un telefono con accesso al web, comunicare in lingue che non siano l'inglese, viaggiare all'estero. Non sarà facile il reinserimento sociale. Come non lo sarà per le decine di prigionieri arrestati nel post 11 settembre e che saranno liberati nei prossimi anni: il governo - denunciano molte associazioni per i diritti civili - è del tutto impreparato, e per gli ex jihadisti non esistono programmi di riabilitazione. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero