Sudan, prima condanna per l'ex dittatore Bashir: due anni per i milioni nascosti in casa

Il nuovo Sudan ha iniziato a fare i conti con l'autocrate che fino ad aprile lo ha aveva dominato per 30 anni: l'ex presidente Omar al Bashir che, per la prima volta,...

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Il nuovo Sudan ha iniziato a fare i conti con l'autocrate che fino ad aprile lo ha aveva dominato per 30 anni: l'ex presidente Omar al Bashir che, per la prima volta, è stato condannato da un tribunale. Una corte di Khartoum gli ha inflitto due anni di reclusione per riciclaggio di denaro e corruzione, senza affrontare accuse più gravi come l'ordine di sparare su manifestanti o il suo ruolo nel golpe che nel 1989 lo portò al potere.


E soprattutto una sorta di veto dei militari per ora impedisce una sua estradizione all'Aja, dove la Corte penale internazionale lo vuole processare per i crimini di guerra e il genocidio perpetrati in Darfur, la provincia occidentale sudanese dove un conflitto fra governativi e ribelli negli anni 2000 ha causato circa 300 mila morti e 2,5 milioni di sfollati, secondo stime dell'Onu. L'accusa di riciclaggio gli era stata mossa in maggio, dopo il sequestro di 6,9 milioni di euro, più di 350 mila dollari e 5,7 milioni di sterline sudanesi compiuto nella sua residenza.

Bashir era stato costretto alle dimissioni da un golpe militare scattato sull'onda di quattro mesi di proteste contro il carovita trasformatesi poi in moto rivoluzionario. Bashir, 75 anni, è stato condannato a scontare la pena in una struttura statale di recupero per criminali anziani ma in attesa del processo sull'uccisione di manifestanti resta a Kobar, il carcere vip di Khartoum dove faceva imprigionare i suoi rivali politici e dove è detenuto dall'aprile scorso, il mese del golpe.

L'ex autocrate, uno dei politicamente più longevi al mondo, ha ascoltato la sentenza nella gabbia degli imputati con la tradizionale tunica bianca e turbante. Il processo riguarda l'equivalente di 25 milioni di dollari che, secondo Bashir, erano stati versati come aiuto al Paese dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, il quale non aveva voluto apparire e quindi erano stati tenuti in casa.


L'autocrate ha sostenuto di non aver usato il denaro per sé ma per donazioni in parte a un ospedale militare e a un'università ma anche (cinque milioni) alle Forze di intervento rapido, i paramilitari Rsf, eredi dei famigerati Janjaweed, i 'diavoli a cavallò protagonisti di stragi in Darfur. Il loro capo, il generale Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, fa parte del Sovrano consiglio composto da civili e militari che sta gestendo il Paese per un periodo transitorio di tre anni avviato da un accordo in agosto.
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Il Messaggero