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L’immagine che resterà nella memoria è quella di dieci studenti in equilibrio instabile, sul cornicione dello storico palazzo dell’ateneo di Praga, dove sono fuggiti per evitare i colpi di fucile di David Kozak. E poi ci sono i video di coloro che scappano per strada, in fila, spinti dagli agenti in tenuta anti sommossa, sciamano fuori dai portoni, terrorizzati. E le immagini, diffuse dall’interno, di chi invece si è chiuso dentro le stanze: le cattedre e gli armadietti spinti davanti alla porta per prevenire l’irruzione del killer. Dice la madre di una studentessa alla tv TnCz: «Mia figlia mi ha raccontato di aver visto un uomo armato nel corridoio, poi si sono barricati nella biblioteca con diversi professori».
ALLARME
Sono le 15 quando sugli smartphone e nei computer degli studenti e degli insegnanti della facoltà di lettere dell’Università Charles di Praga arriva una mail. Grazie a chi ha il suono delle notifiche attivato, c’è un susseguirsi di squilli quasi contemporanei. Bip, bip, bip. Qualcuno legge, all’inizio pensa sia uno scherzo o una truffa, poi avverte anche gli altri che si trovano nelle aule. C’è scritto: «Restate dove vi trovate, non andate da nessuna parte. Se ti trovi in una stanza, chiudila a chiave e posiziona i mobili davanti alle porte. Spegnete le luci. Probabilmente il killer si trova al quarto piano dell’edificio in piazza Jan Palach».
ANGOSCIA
L’avvertimento è della polizia della Boemia centrale, una mail simile viene inviata anche ai dipendenti della Scuola d’arte e industriale, che si trova nella stessa area.
FUORI
Spiega al network Cnn Prima uno studente: «Non ho mai avuto un’esperienza di questo tipo, non ho mai avuto tanta paura, a un certo punto ho temuto per la mia vita. Sono entrati nelle aule gli agenti della polizia, erano armati. Ci hanno urlato: “Mettete le mani sulla testa”. Ci hanno cacciato dalle aule, urlavano: “Uscite, uscite”. Tutto sembrava irreale». Ludek Svoboda si trovava al terzo piano dell’edificio: «E da quello che ho capito il killer sparava dal quarto. Abbiamo sentito dei colpi, all’inizio ci abbiamo scherzato su, non pensavamo che fosse un’arma da fuoco, non ci sembrava possibile. Dopo pochi minuti ci siamo accorti che era arrivata la polizia. Avevano le pistole in mano, ci hanno gridato di uscire, quindi siamo scappati tutti velocemente. Sono vivo, quasi non ci posso credere. Mi sento come se fossi negli Stati Uniti» (il riferimento è alle numerose sparatorie di massa negli Usa, specialmente nelle scuole e nelle università). Un’altra studentessa, intervista dal quotidiano Belk traccia questo quadro: «Avevo lezione nell’edificio principale, sala 131. Quando la polizia, armi in pugno, è entrata, non ci ha dato spiegazioni, semplicemente ci ha detto di uscire tenendo le mani sulla testa. Abbiamo sentito gli spari, abbiamo capito che era una cosa seria, non un’esercitazione. Per fortuna eravamo vicini all’uscita. Altri sono stati costretti a barricarsi».
ERRORI
«Ma la polizia era già venuta all’università, poco dopo l’una e trenta, aveva parlato con qualcuno della sicurezza, ma non era poi successo nulla di anomalo». Probabilmente gli agenti, dopo che era stato trovato il corpo del padre di David Kozak, ucciso dal ragazzo in una cittadina a venti chilometri da Praga, erano andati a cercarlo all’università. Il problema è che potrebbero avere perquisito l’edificio sbagliato, quello in cui pensavano Kozak sarebbe andato a seguire un seminario. Pensavano di dover evitare un suicidio. Un’azione più drastica, con l’evacuazione di tutto il complesso, forse avrebbe evitato quattordici morti. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero