Silvia Romano era viva a Natale, vertice tra inquirenti di Italia e Kenya

Era viva il giorno di Natale, poi è stata ceduta ad un altro gruppo di sequestratori. Ancora molte incognite, e qualche speranza, sulla sorte di Silvia Romano, la...

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Era viva il giorno di Natale, poi è stata ceduta ad un altro gruppo di sequestratori. Ancora molte incognite, e qualche speranza, sulla sorte di Silvia Romano, la cooperante rapita in Kenya il 20 novembre scorso. Oggi, per fare il punto sulle indagini a quasi otto mesi dal sequestro, si è tenuto un vertice a Roma tra le autorità giudiziarie italiane e kenyote. Al momento, l'unica certezza è, appunto, che Silvia il giorno di Natale era viva. La conferma della sua esistenza in vita fino a quella data è arrivata alle autorità locali dai due arrestati il 26 dicembre in quanto ritenuti appartenenti al gruppo criminale autore del sequestro.


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La banda, dopo avere pedinato per alcuni giorni la cooperante, l'aveva prelevata in un centro commerciale nella città di Chacama, a circa ottanta chilomentri dalla capitale Nairobi. La ragazza, secondo quanto hanno raccontato dai due cittadini kenyoti, sarebbe stata poi ceduta ad una altra banda di sequestratori. Nel corso del vertice, cui hanno preso parte il procuratore generale del Kenya, Noordin Mohamed Haji e il pm titolare del procedimento aperto a Roma, Sergio Colaiocco, è stato definito il quadro in cui si è consumato il sequestro. In totale il gruppo che ha messo a segno il blitz era composto da otto persone. Secondo gli inquirenti si tratta di criminali comuni armati con fucili Ak47 e granate. L'azione è avvenuta nella contea di Kilifi: Silvia Romano è stata bloccata e dopo, averle gettato via il passaporto e il telefono cellulare, è stata fatta salire a bordo di una motocicletta e portata verso una boscaglia nei pressi del fiume Tana.

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Degli otto, cinque sono attualmente ricercati mentre, i due arrestati il giorno di Santo Stefano per il sequestro saranno processati davanti al carcere di Nairobi il 29 e 30 luglio. Un terzo soggetto finito in manette, un cittadino somalo di 35 anni, trovato in possesso di una delle armi in quel villaggio, ha ammesso le sue responsabilità ed è in attesa della richiesta di processo. L'attività di indagine proseguirà nel tentativo di accertare la sorte della giovane cooperante. In questo ambito nelle prossime settimane i carabinieri Ros torneranno per la seconda volta in Kenya dopo la prima missione svolta in aprile per proseguire la collaborazione investigativa e acquisire altri elementi. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero