René Robert, 9 ore al gelo nel centro di Parigi: il fotografo star morto nell'indifferenza

L'uomo è caduto sul marciapiede, nessun passante l'ha soccorso

René Robert 9 ore al gelo nel centro di Parigi, il fotografo star morto nell'indifferenza
Probabilmente è stato solo un piede messo male, o un malessere da niente, una piccola vertigine, a far inciampare René Robert: come ogni sera, anche martedì...

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Probabilmente è stato solo un piede messo male, o un malessere da niente, una piccola vertigine, a far inciampare René Robert: come ogni sera, anche martedì 18 gennaio, dopo cena, il fotografo 86enne, famoso per i suoi lavori in bianco e nero sul flamenco, è uscito di casa per una passeggiata. «Amava la sera, la notte, il movimento in bianco e nero dei ragazzi e dei turisti» dirà poi un suo amico. Perché René Robert è morto a Parigi.

René Robert morto al gelo

 

Non lo ha ucciso la caduta, ma il fatto che nessuno lo abbia aiutato a rialzarsi, lì sul marciapiede della rue Turbigo, di fronte alla stazione della metro, a due passi dalla fermata dell'autobus: nessuno, tra i passanti, i clienti del bistrot di fronte, quelli che correvano per andare al cinema o a un appuntamento in place de la République, nessuno si è fermato.

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René Robert è rimasto sdraiato lì, dalle nove di sera, fino a quando la temperatura ha cominciato a scendere sino a ucciderlo, probabilmente intorno alle 5,30 del mattino, forse prima. È all'alba che qualcuno ha chiamato i pompieri. È stato forse un marginale del quartiere, un clochard, compagno di Fabienne, una donna cui René e sua moglie davano spesso vestiti e coperte, ad accorgersi del corpo sul marciapiede e a chiamare i soccorsi. La morte di questo fotografo conosciuto, che nonostante l'età era in perfetta salute, («non beveva, non fumava, aveva una grande curiosità») è rimbalzata sui siti di informazione, poi sui giornali, e infine nelle coscienze dei parigini: «è stata assassinato dall'indifferenza», ha scritto un suo amico giornalista, Michel Mompontet.

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LA LENTA AGONIA
Un'indifferenza che lascia sulle strade della Ville Lumière decine di morti ogni anno, 500 in tutta la Francia. Statistiche sicuramente sottostimate - spesso liquidate come fatalità, perché a morire sono quasi sempre senza tetto, barboni, marginali, alcolizzati e distrutti dalla vita in strada. L'immagine del corpo steso, e del viavai intorno, in una strada del centro di Parigi, tormentava ieri tutti i racconti della fine di René. «Ho fiducia nell'uomo, sono un ottimista, dunque no, non mi sembra naturale che nessuno si sia fermato ha detto al tg della sera Michel Mompontet Siamo nel centro di Parigi, in un quartiere popolare, dove ci sono anche ristoranti e turisti.

 

 

È caduto alle 9 di sera, non alle 4 del mattino, quando c'era ancora molto movimento. Era ben vestito, non somigliava a un marginale che magari può far paura». Secondo le prime informazioni, René Robert è morto dopo ore di agonia. «Non so se un giorno sapremo perché non è riuscito a rialzarsi o a chiedere aiuto ha detto ancora il suo amico, intervistato da tutte le tv francesi I pompieri hanno detto, anche se non ne sono certi al cento per cento, che è restato cosciente a lungo. Restano molti punti da chiarire».


Capire, per esempio, perché le immagini delle videocamere di protezione che si trovano proprio in quel punto non sono servite a far scattare nessuna allerta. Incredibile anche che nessuna squadra di volontari che ogni sera, in inverno, perlustrano i quartieri di Parigi per soccorrere o portare un pasto caldo ai senza tetto, lo abbia notato.


Resta per ora il ricordo di René Robert: nato in Svizzera, a Friburgo, nel '36, da giovanissimo attirato dalla fotografia e poi, appena arrivato a Parigi, convertitosi al flamenco, di cui è stato uno dei più noti narratori con le immagini. «Non mancava nessun concerto di flamenco, conosceva tutti gli artisti, aveva la loro totale fiducia racconta chi lo conosceva bene era un uomo discreto, ricco di un'ironia gentile. Non aveva mai voluto cedere al digitale, era rimasto fedele alla pellicola e al bianco e nero. Di sé diceva: ho solo il talento di aspettare il momento giusto'».
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Il Messaggero