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Dodici giorni di carcere e ipotesi di reato come associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio sono sufficienti per minare la compattezza dell'«organizzazione criminale» che, stando alle accuse, distribuiva mazzette nel Parlamento europeo. Il muro degli indagati mostra diverse crepe, tra ammissioni, accuse incrociate, nuove piste da seguire.
I verbali
«È vero. Conoscevo Antonio Panzeri e sapevo che a casa mia c'erano delle valigie piene di soldi», ha messo a verbale la destituita vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, confessando anche di avere incaricato il padre di nascondere il denaro. E davanti ai magistrati parla anche Panzeri: «L'accordo prevedeva che avremmo lavorato per evitare delle risoluzioni contro i Paesi, in cambio avremmo ricevuto 50 mila euro». Scarica quindi l'europarlamentare Pd Andrea Cozzolino, invitando i magistrati ad approfondire il suo ruolo, e indica il suo ex collega socialista Marc Tarabella come destinatario di «regali provenienti dal Qatar». Per la casa di Cervinia di Tarabella la Procura di Aosta ha disposto il sequestro: acquistata per 215 mila euro nell'aprile scorso tramite la sua società Nakaz development spr, sull'operazione aleggia l'ombra del riciclaggio. Al momento la Commissione europea non intende aprire una crisi diplomatica con il Qatar, soprattutto ora che la Russia è tornata a minacciare una nuova stretta sul gas. Mentre i nomi della cerchia di Panzeri si rincorrono a Bruxelles e tra questi c'è Doriano Dragoni, ex funzionario italiano (oggi in pensione) del gruppo S&D al Parlamento europeo designato amministratore delegato della Ong Fight Impunity nell'atto costitutivo.
Vacanza in Marocco
Eccezione accolta invece ieri dai giudici che devono pronunciarsi sulla consegna della figlia, Silvia Panzeri, rinviando l'udienza al 3 gennaio «al fine di ottenere dal Belgio informazioni sulle condizioni carcerarie a cui verrebbe a trovarsi l'imputata», alla luce di episodi di criticità causa sovraffollamento. Per il procuratore federale Michel Claise le due indagate «sembrano essere pienamente consapevoli delle attività» di Antonio Panzeri e a corroborarlo ci sono le intercettazioni agli atti dell'inchiesta. Il 4 giugno scorso le due donne sono in vacanza in Marocco e parlano al telefono con l'ex eurodeputato. «È andata bene, ci hanno fatto passare per vip. Siamo andate da Atmoun per un caffè», raccontano soddisfatte. L'ospite è Abderrahim Atmoun, detto «il gigante», ambasciatore marocchino in Polonia, lo stesso uomo che avrebbe consegnato loro soldi e regali. Panzeri, qualche ora dopo, lo chiama e fanno qualche battuta sui doni - «Se ne sono andate con qualche prodotto» - poi il colloquio diventa professionale. L'ex eurodeputato affronta la questione del «consiglio dei Marocchini nel mondo» e spiega che farà scrivere alla figlia (avvocato) una «bozza di convezione» che promette di spedire ad Atmoun «per vedere se va bene».
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Il Messaggero