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Una parata del 9 maggio con “la retorica e i toni altisonanti di sempre, ma dimensioni ridotte”. Un Putin che ripete le accuse al governo ucraino di “nazismo e golpismo” ma sembra pronto a negoziare la pace, “anche se a partire dalle quattro regioni invase”. E all’orizzonte, la controffensiva di Kiev “dalla quale forse ci si aspetta troppo, mentre sarebbe il momento di cominciare a ragionare, una volta tanto, sull’End Game, la fine del gioco”. L’ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica e oggi presidente dell’Icsa, generale Leonardo Tricarico, ha visto sulla Piazza Rossa “tanti sorrisi, strette di mano, veterani, soldati perfetti, ma una parata non all’altezza degli altri anni, come dimensioni”.
Non c’erano gli aerei, perché?
“Probabilmente, perché gli aeroplani sono impegnati in attività di carattere operativo. È stata una parata ridimensionata come previsto, senza sorprese, forse con la novità dei presidenti di Repubbliche ex sovietiche che con la loro presenza hanno voluto compiere un gesto di vicinanza verso Putin. La retorica è quella solita, con toni eccessivi e la parola ‘vittoria’ ripetuta più volte. Ma Putin ha pure detto di volere la pace. Tutti la vogliono, ma cosa intende per pace Putin? La verità è che ancora una volta ci siamo imbarcati in un’avventura della quale nessuno ha disegnato la condizione finale da raggiungere. Iraq, Siria, Libia, Afghanistan non hanno insegnato nulla…”.
Per Zelensky la fine arriverà con la riconquista di tutta l’Ucraina, inclusa la Crimea?
“Sì, per Zelensky l’End Game vuol dire ricacciare fino all’ultimo russo fuori dai confini dell’Ucraina.
In che senso?
“Mi riferisco alla visita di Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Ue che ha accompagnato anche plasticamente il desiderio di Zelensky di dedicare all’Europa il 9 maggio, e ancora di più al segretario generale della Nato che di recente ha di nuovo travalicato clamorosamente le sue prerogative dando il benvenuto all’Ucraina nella Nato.”
Gli americani hanno appena annunciato un altro pacchetto da 1 miliardo e 200 milioni di dollari per Kiev…
“È un aiuto che non cessa mai, ma non può essere incondizionato, deve essere condizionato a un assetto finale.”
Non sono gli ucraini a dover decidere quando fermarsi e negoziare?
“Gli ucraini sono molto più baldanzosi e ambiziosi che all’inizio, e noi non dobbiamo alimentare questa convinzione, semmai dobbiamo tutti insieme vedere quale può essere un punto di caduta. La controffensiva si è caricata di troppe attese, mentre gli stessi ucraini dicono ora che non dobbiamo aspettarci un ribaltamento della situazione. Io vedo una Russia sempre più afflitta dalle proprie difficoltà di leadership, di catena di comando da Putin in giù sotto colpi di picconatori seriali come Prigozhin e Kadyrov, e poi generali che vengono cambiati come la biancheria intima, soldati reclutati ma evidentemente non pronti a combattere, materiali che scarseggiano…”.
Anche se Putin ha dato ordine di raddoppiare la produzione?
“Sì, ma poi vediamo che i missili antiaerei S-300 vengono usati contro i bersagli terrestri, con risultati disastrosi. È chiaro che c’è un problema di sistemi d’arma. Ciononostante, la Russia mantiene una potenza che si basa sulla quantità più che sulla qualità, logora e inadeguata. Gli ucraini hanno, da parte loro, uno strumento militare sempre più aggiornato e preparato, soldati motivati almeno come il primo giorno, qualità fondamentale per chi combatte una guerra, e una leadership che non viene messa in discussione da alcuno. Sulla qualità, vince l’Ucraina.”
E allora perché non combattere fino alla fine?
“Le dimensioni della Russia non lo permettono, a meno di un cedimento, uno schianto improvviso, che però non è militare.” Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero