Odessa, le spiagge affollate sotto assedio: i resistenti della normalità

Il direttore del giornale locale: «La gente fa la vita di sempre: passeggia, va al ristorante, e sfida le autorità»

Odessa, le spiagge affollate sotto assedio: i resistenti della normalità
L'estate che arriva, il sole, gli asciugamani sulla sabbia calda, le donne in topless. Prove di tintarella. Sapore di mare, sapore di sale. Odessa. La vita normale, i corpi e...

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L'estate che arriva, il sole, gli asciugamani sulla sabbia calda, le donne in topless. Prove di tintarella. Sapore di mare, sapore di sale. Odessa. La vita normale, i corpi e la gioia di rilassarsi davanti al frangersi delle onde e poi un tuffo, una nuotata. E insomma, Odessa. Perché continuare la vita di tutti i giorni è la più potente forma di resistenza: la voglia di restare vivi contro l'orrore della guerra, i soprusi, la violenza, la morte... L'ostinazione a non piegarsi. Una fotografia, in primo piano gli iris in fiore e i bagnanti stesi a abbronzarsi: uno schiaffo a Putin, come un missile con una gittata che va ben oltre gli spalleggiabili che centrano un singolo carro armato nei campi di mais. Qui è un popolo che urla compatto la sua resistenza. Che non ha paura. Che va al mare come se nulla fosse. Come se a pochi chilometri, sul fronte di Mykolaïv, non piovessero le bombe e lungo la costa non fumasse ancora l'acciaieria Azovstal di Mariupol, la città-martire caduta nelle mani di russi e ceceni al prezzo di migliaia di vittime e di un'altra forma, ben più militante e sanguinosa, di resistenza.

 

 

E insomma la vita continua, sulla costa ancora, e sempre, ucraina del Mar d'Azov. Ugo Poletti, direttore italiano di The Odessa Journal, racconta che sì, la gente va in spiaggia, almeno ci prova, sfida i moniti delle autorità che sconsigliano di andare a prendere il sole a riva. Invano. Folla di bagnanti. «Una settimana dopo il mio compleanno, il 30 aprile, in 50 abbiamo assistito a un concerto del più importante pianista jazz ucraino, in un teatro sotterraneo, non grande ma abbastanza per ospitare quel concerto, un momento davvero piacevole». Poletti stesso non ha rinunciato alla festa di compleanno, ha invitato gli amici per una spaghettata mentre la guerra infuriava. «Tutto questo è il segnale di una città in cui la gente fa la vita di sempre, passeggia in centro, le strade sono piene di macchine, i supermercati sono aperti, addirittura hanno riaperto i ristoranti, l'orario è ridotto ma il coprifuoco che all'inizio andava dalle 17 alle 6 del mattino, ora parte alle 23 e la sera si può uscire». È superficialità, noncuranza? Insensibilità? Tutt'altro. È resistenza. Morale alto. Produrre, vivere, essere sé stessi. «Il governo ha chiesto alle aziende di continuare a lavorare e a distribuire stipendi».

 

 

Il fatalismo slavo

E poi c'è una buona dose di fatalismo slavo. Il giorno che un missile fece otto morti, in città la gente guardò un punto invisibile dove si era sentito lo scoppio e continuò a fare shopping. Come nelle guerre jugoslave: i poliziotti croati si ostinavano a piazzare l'autovelox durante i bombardamenti e insieme alle granate di mortaio fioccavano le multe per eccesso di velocità. O come a Sarajevo quell'impiegato che ogni mattina si presentava alla fermata di un bus che non sarebbe mai passato e poi s'incamminava verso un ufficio nel quale nessuno avrebbe lavorato. Per opporsi all'aggressore con la routine di una vita che non s'interrompe. O come quella poetessa, raccontata da Gigi Riva sul Giorno, che invece di razioni K chiedeva profumi e biancheria intima griffata per sentirsi una donna moderna. O come le presentatrici della radio croata in lingua italiana, a Zagabria, che in assenza di turisti, perché pure lì era scoppiata la guerra, snocciolavano previsioni del tempo e decantavano le bellezze della Dalmazia per stranieri che si guardavano bene dal varcare la frontiera. Così a Odessa. Lo struscio sul lungomare. I concerti. Gli iris in fiore. Le bellezze in topless.


 

 

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Il Messaggero