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Rivolta in Israele dopo la decisione del premier Netanyahu di licenziare il ministro della Difesa contrario alla riforma della Giustizia. Nel Paese da settimane migliaia di persone protestano contro il provvedimento che vuole rivedere il sistema giudiziario, proposto dal nuovo governo del primo ministro. Ma cosa prevede la riforma? I manifestanti sostengono che sia un profondo pericolo per la democrazia israeliana, perché accentra molti poteri prima affidati alla Corte suprema, al governo stesso. Un bilanciamento tra poteri che farebbe comodo all'esecutivo di Netanyahu a discapito invece del potere giudiziario. Il governo ritiene che invece la Corte suprema abbia in questo momento eccessiva libertà di intervento in diverse materie sulle quali il potere spetterebbe invece al governo.
La riforma è stata presentata dal ministro della Giustizia Yariv Levin, e all’interno del governo è sostenuta sia dai partiti della destra nazionalista laica, come il Likud di Netanyahu e dello stesso Levin, sia dai partiti ultraortodossi. Netanyahu in questo momento è sotto processo per corruzione e altri reati e la sua difesa ritiene che le accuse siano motivate solo dal punto di vista politico. Gli ultraortodossi invece protestano perché accusano la Corte di limitare le loro libertà religiose e i privilegi di cui godono, come ad esempio il servizio militare obbligatorio per tutti, ma non per gli ortodossi.
Perché la Corte suprema è così importante in Israele
La Corte suprema ha un ruolo centrale nella vita del Paese per la natura del suo sistema politico.
La riforma, il licenziamento del ministro, le proteste: cosa succede in Israele
È bastato un giorno a Benyamin Netanyahu per licenziare in tronco il ministro della Difesa Yoav Gallant, del Likud, reo di aver chiesto di congelare la riforma giudiziaria che sta spaccando Israele. Una mossa - non appena rientrato dalla visita di stato a Londra - che gli era stata sollecitata soprattutto dall'estrema destra del suo governo, a cominciare dal ministro della Sicurezza nazionale, il falco Itamar Ben Gvir. Gallant aveva spiegato di appoggiare la riforma ma di chiederne il blocco - fino al 26 aprile, il giorno dell'Indipendenza nazionale - per la necessità «di ritrovare l'unità nazionale». «Già adesso - aveva ammonito l'ormai ex titolare della Difesa - esiste un pericolo chiaro, immediato e concreto alla nostra sicurezza nazionale».
Parole che hanno incrinato il fronte dell'esecutivo, visto il sostegno avuto da altri esponenti del Likud, lo stesso partito del premier, come Yuli Edelstein o David Bitan. Non si sa al momento - vista la stringata comunicazione dell'ufficio del premier - se Gallant avrà un altro incarico di governo o meno, ma appare improbabile considerato che a questo punto non serve a nulla neppure la riunione della maggioranza che Netanyahu aveva convocato in un primo tempo per ieri e che poi, alla chetichella, era slittata a oggi.
L'obiettivo di Netanyahu è di portare a 11 i membri del Comitato (invece dei 9 di oggi) assicurando la prevalenza dei componenti di nomina politica sui tecnici. Altra intenzione del premier sarebbe nominare David Amsalem (Likud e noto oppositore dei poteri della Corte Suprema) secondo ministro della Giustizia che affianchi l'attuale responsabile Yariv Levin, ritenuto uno dei due architetti della riforma.
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