Nel giorno in cui è stato scelto da Time come uno dei 100 personaggi più influenti al mondo, Benyamin Netanyahu ha ricevuto dal Capo dello Stato Reuven Rivlin...
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COMPITO COMPLICATO
Sulla carta il compito non appare troppo complicato. Ma il primo ostacolo da superare deriva dai contrasti sulla spinosa questione dell'arruolamento nell'esercito dei giovani studenti dei collegi rabbinici. Lo invoca il partito laico di destra Israel Beitenu di Avigdor Lieberman (5 seggi). Mentre due liste ortodosse (Shas ed Ebraismo della Torah, assieme contano 16 seggi) vogliono invece esenzioni di massa. Rinunciando all'ex ministro della Difesa Lieberman, Netanyahu resterebbe con appena 60 seggi alla Knesset. In teoria il Likud (35 seggi) potrebbe allora rivolgersi ai
centristi del partito 'Blu-Biancò di Benny Gantz (35 seggi), nelle cui fila sono inclusi peraltro alcuni personaggi (come
l'ex ministro della difesa Moshe Yaalon, e due ex consiglieri del premier) non molto distanti dal Likud. Ma si tratterebbe allora di una rottura nel percorso ideologico intrapreso da Netanyahu negli ultimi anni. Ancora nel 2013 costituì un governo assieme con le liste laiche e pragmatiche di Yair Lapid (Yesh Atid) e di Tzipi Livni (Ha-Tnuà), escludendo da quell'esecutivo i due partiti ortodossi. Dal 2015 però Netanyahu ha nettamente cambiato strada. Ha
stretto un'alleanza ideologica con gli ortodossi e con i nazional-religiosi vicini al movimento dei coloni. Anche il suo
partito, il Likud, ha gradualmente mutato la propria fisionomia spostandosi su posizioni più radicali. In questa campagna elettorale Netanyahu ha infierito senza pietà su Lapid. Ha invece risparmiato Livni (una delle ultime figure politiche israeliane che si battono ancora per la formula dei due Stati), essendo uscita per il momento dalla politica attiva. Netanyahu ha confermato che intende formare un governo «stabile e omogeneo», orientato a destra con quelli che usa definire «i nostri partner naturali». Le sue considerazioni, avvertono alcuni analisti, potrebbero però cambiare già a giugno quando, secondo informazioni giunte da Washington, l'amministrazione Trump dovrebbe annunciare un "Piano di pace" che include, a quanto pare, «sacrifici da parte di Israele». Parole che sono pura eresia per la destra radicale israeliana. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero