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LA DOPPIA DIMOSTRAZIONE
È la rivincita della tecnologia israeliana, la stessa tragicamente sconfitta con l'attacco a sorpresa del 7 ottobre degli incursori di Hamas su motorette e deltaplani. Ed è anche una doppia dimostrazione. La prima, che l'Iran può effettivamente attraversare i mille chilometri che separano da Israele e colpire direttamente tutto il territorio «sionista» comprese Gerusalemme e Tel Aviv. La seconda, che le forze dell'antiaerea di Israele sono in grado di intercettare e abbattere qualsiasi vettore di Teheran, inclusi missili balistici avanzati, gli ipersonici a lungo raggio Kheibar, noti come Khorramshahr 4, ossia di quarta generazione, velocità Mach 8 nell'atmosfera (e 16 fuori) e autonomia a 2mila chilometri con una testata possente da una tonnellata e mezzo.
I numeri messi in campo non sono bastati a disorientare gli israeliani, anche perché i droni iraniani si muovono grazie al sistema Gps, di cui i tecnici israeliani hanno il totale controllo nel Medio Oriente: significa che qualsiasi movimento di drone viene monitorato in tempo reale e che la contromisura elettronica di quello che viene chiamato "Jamming", una sorta di accecamento dei sistemi di navigazione, può anche evitare di dover intervenire con intercettazioni di caccia o dispositivi dell'antiaerea. Più complicato "placcare" i missili. In totale, stando a funzionari anonimi interpellati dal New York Times, gli iraniani avrebbero "sparato" 185 droni kamikaze Shahed 137, 110 missili balistici (superficie-superficie) ipersonici Kheibar e 36 da crociera, tipo Paveh 351. In tutto, 331 tra droni e missili variamente configurati. Che per oltre il 90 per cento sarebbero stati neutralizzati in volo.
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LA CONTROFFENSIVA
Stando invece alle stime riferite alla Bbc dal portavoce delle forze di Difesa israeliane (Idf), Peter Lerner, le "munizioni" sarebbero state in tutto 360, di cui 170 droni esplosivi, 30 missili da crociera e ben 120 missili balistici. Ad accoglierli, e distruggerli, una difesa aerea a più livelli, di fatto più scudi a cipolla, dal più basso ma più sfruttato, dieci batterie di Iron Dome, "Cupola di ferro", dotate di radar e apparecchiature in grado di calcolare il punto di impatto dei "dardi" nemici e, quindi, far partire o no le contromisure. La "Fionda di David" israelo-americana capace di sgretolare obiettivi a 186 miglia di distanza. E i quasi infallibili Arrow 2 e 3, i più potenti e forse gli unici al mondo in grado di proteggere in modo affidabile dai missili balistici. Poi la flotta di caccia d'avanguardia multiruolo F35, oltre ai ben noti F15 e F16 ammodernati. Senza contare che dalla portaerei Eisenhower si sono alzati gli F18 statunitensi, a cui si sono uniti gli aerei francesi che a detta degli stessi israeliani "hanno ottime tecnologie", e la Raf di Sua Maestà dalla base di Cipro. Solo gli americani avrebbero abbattuto una settantina di droni e almeno tre missili balistici. E avrebbe contribuito, con coraggio, la contraerea giordana per proteggere il proprio spazio aereo, che i droni iraniani dovevano attraversare (oltre alla Siria e a parte dell'Iraq). Non si è trattato, quindi, di un confronto di terra. Niente guerra ibrida, questa volta, ma scontro diretto. Attacco e difesa. Al computer e nei cieli. E poi c'è la componente di intelligence, che resta fondamentale per capire il momento dell'attacco e gli obiettivi. Anche in questo caso la Cia di William Burns, insieme alle altre agenzie Usa, ha dimostrato di azzeccare le previsioni. All'Iran non restano che il terrorismo e la guerra attraverso i proxy, la guerra ibrida dietro la quale si è protetto finora. Ma per pianificare un grande attentato occorre tempo. Per Teheran, gli obiettivi sono raggiunti e la questione è chiusa. Ma tocca a Israele decidere adesso se contrattaccare. Leggi l'articolo completo suIl Messaggero