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Non era mai successo, anche se è pur sempre il mondo incerto dei sondaggi: il 24 aprile potrebbe arrivare all’Eliseo una presidente donna, e di estrema destra, con una politica xenofoba e antieuropeista, fautrice di un’alleanza con la Russia e di un’uscita dalla Nato. Alla terza elezione presidenziale, e a quattro giorni dal primo turno, Marine Le Pen non è mai stata così vicina alla meta: per la prima volta, le intenzioni di voto a suo favore continuano a salire a ridosso delle elezioni, ha guadagnato quattro punti in due settimane, ed è ormai sopra al 21 per cento.
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Macron in calo
In testa c’è sempre il presidente uscente Emmanuel Macron, ma è in fase calante. Complice anche lo scoppio della guerra in Ucraina, Macron aveva raggiunto un mese fa il 30 per cento di gradimento, ora è intorno al 26,5. Dietro, gli altri dieci candidati sono tutti distanziati. Soltanto il radicale di sinistra Jean-Luc Mélenchon appare ancora in corsa, anche se con speranze fievolissime di arrivare al ballottaggio del 10 aprile. Lui ci crede, a 70 anni e, come Le Pen, alla terza presidenziale: dice di sentire che è «la volta buona», moltiplica i comizi e assicura che al secondo turno non ci sarà di nuovo un duello "Macron-Le Pen" come nel 2017. Per il resto, le formazioni politiche appaiono senza fiato: fuori dai giochi i neogollisti con la loro prima candidata donna, Valérie Pécresse, inchiodata sotto al 10 per cento, deludente la prestazione del verde Yannick Jadot, intorno al sei e un disastro per i socialisti il 2 per cento della sindaca di Parigi Anne Hidalgo.
Le reazioni alla guerra
Mélenchon, Le Pen, e Zemmour, si sono affrettati a prendere le distanze dalla Russia di Putin, fino a qualche mese fa da loro considerata, per motivi diversi, un paese a cui guardare, se non da ammirare o con cui allearsi. Le Pen è riuscita nell’operazione, spostando l’asse della campagna sulla difesa del potere d’acquisto, pilastro del suo programma. Macron si è visto poco, ha svolto un solo grande comizio il 2 aprile, una grande kermesse all’americana, che non ha convinto e ha comunque mostrato che l’energia dirompente di cinque anni fa si è in parte esaurita. Su tutto pesa poi l’incognita dell’astensione, una delle variabili che tradizionalmente può influenzare di più una presidenziale e che domenica potrebbe superare il record storico del 28,4 per cento del 21 aprile 2002, quando per la prima volta l’estrema destra, con Jean-Marie Le Pen, si qualificò al secondo turno con Jacques Chirac. Vittima fu l’allora premier socialista Lionel Jospin: il pronostico di una sua vittoria certa provocò una dispersione del voto e soprattutto la smobilitazione generale degli elettori. Era l’epoca in cui il fronte repubblicano per arginare l’arrivo dell’estrema destra al potere funzionava ancora: il neogollista Chirac vinse con l’82 per cento dei voti, grazie anche alla mobilitazione degli elettori di sinistra in suo favore. I tempi sono cambiati. Le Pen figlia, grazie anche a una sapiente opera di sdoganamento, può addirittura contare sul serbatoio di voti alla sua destra di Zemmour. I politologi tuttavia insistono: oltre all’astensione pesa la volatilità del voto. Prima, ai vecchi tempi del mondo diviso tra destra e sinistra, i giochi erano fatti con mesi di anticipo, oggi, come spiega Gilles Finkelstein della Fondazione Jean Jaurès:
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