Il Regno Unito supera l'Italia e taglia per primo in Europa il poco invidiabile traguardo degli oltre 30.000 morti per coronavirus. Il giorno nero del Paese della Brexit,...
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A certificare un dato ormai atteso è stato l'ultimo aggiornamento capillare dell'Ons, equivalente britannico dell'Istat, reso noto con cadenza settimanale. Aggiornamento che, con l'aggiunta dei decessi classificati come casi sospetti (casi che altri Paesi europei non inseriscono), porta ad almeno 29.710 i morti censiti in Inghilterra e Galles fra ospedali, case di riposo, abitazioni private e ricoveri vari alla data del 2 maggio; 32.375, includendo Scozia e Ulster. Il suggello di un record continentale che si conferma anche limitandosi solo alle cause di morte certe registrate fino a oggi e snocciolate nella conferenza stampa quotidiana di Downing Street tenuta stasera dal ministro degli Esteri, Dominic Raab: per un totale di 29.427 (693 più di ieri, col recupero di alcuni dati arretrati del weekend) comunque superiore, per la prima volta dall'inizio dell'epidemia, ai 29.315 dichiarati adesso dall'Italia.
L'aritmetica lascia del resto poco scampo.
Un peso che costringe a rifare i conti con le esitazioni iniziali imputate all'esecutivo e ai suoi consulenti, un mese e mezzo fa, nell'introduzione di misure restrittive radicali dei contatti sociali. Fino alla decisione del lockdown generale scattata non prima del 23 marzo. Scelta su cui oggi stesso la commissione parlamentare Sanità ha incalzato il professor sir Patrick Vallance, consigliere scientifico principe del primo ministro. Inducendolo a svelare le divergenze emerse in quelle settimane in seno allo stesso Sage, il sinedrio di scienziati ed esperti chiamato ad assistere l'esecutivo nell'emergenza, pur sullo sfondo di una pubblicazione per ora solo parziale delle sue deliberazioni. E a chiedere «scusa, se non fossi stato chiaro», sui suoi controversi riferimenti di allora all'ipotetico obiettivo di «un'immunità di gregge», vista da molti come richiamo a un'illusoria strategia alternativa.
Sia come sia, a Londra non resta a questo punto che diventare una delle capitali europee più caute sulla Fase 2. Un passaggio che è «all'esame del governo», ha ribadito Raab, ma non potrà non esser graduale (dallo sport alla scuola all'economia), tenuto conto dell'altezza del picco appena superato dal Paese e del rischio concreto - denunciato costantemente in questi giorni - di «un secondo picco» potenzialmente ancora più micidiale. Johnson, convertito a maggior ragione alla prudenza dopo l'odissea personale sfociata in tre notti di terapia intensiva, per ora si riserva di presentare in effetti domenica un piano sulle tappe future di una riapertura al rallentatore: e non è chiaro a partire da quando, né con quali limiti esatti. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero