«L'infezione è ovunque in ospedale. Anche se indossi indumenti protettivi e fai il meglio che puoi, non puoi controllarla. Dobbiamo decidere chi può andare...
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Coronavirus, il cardiologo Romeo: «Asintomatici rilasciano il virus in grandi quantità»
«Il sistema sanitario italiano - ricorda il Nejm - è molto apprezzato e ha 3,2 posti letto ospedalieri ogni 1.000 abitanti (rispetto ai 2,8 negli Stati Uniti), ma è stato impossibile soddisfare contemporaneamente le esigenze di così tanti pazienti in condizioni critiche. Gli interventi chirurgici elettivi sono stati annullati, le procedure semielettive posticipate e le sale operatorie sono state trasformate in terapie intensive di fortuna. Con tutti i letti occupati, anche i corridoi e le aree amministrative sono stati dedicati ai pazienti, alcuni dei quali ricevono una ventilazione non invasiva. Ma come trattare questi pazienti? Oltre al supporto ventilatorio per le polmoniti interstiziali gravi, la terapia è empirica, e si stanno provando i farmaci lopinavir-ritonavir, clorochina, o talvolta steroidi ad alte dosi».
Coronavirus, allarme ospedali: infermiere e pazienti contagiati
«E come prendersi cura dei pazienti che presentano malattie non correlate?», si chiede Nejm. «Sebbene gli ospedali stiano tentando di creare unità Covid-19, è difficile proteggere altri pazienti dall'esposizione.
Coronavirus Roma, 1.100 chiamate al giorno al 118. Gli operatori: «Paura a entrare nelle case»
«La sfida, ha detto il medico - prosegue Nejm - ha meno a che fare con la cura dei pazienti, nelle cui stanze i medici sono schermati con dispositivi di protezione, quanto con le molte altre attività quotidiane degli operatori sanitari: toccare i computer, salire sugli ascensori, vedere i pazienti ambulatoriali, pranzare. La quarantena obbligatoria dei lavoratori infetti, anche quelli con malattia lieve, è fondamentale per il controllo delle infezioni. Ma se non tutti sono ugualmente vulnerabili alle malattie gravi, c'è da pensare anche alla carenza di forza lavoro». «Un giovane medico, il dottor S., mi ha raccontato che nel suo ospedale ci sono giovani medici in prima linea, che fanno turni extra e lavorano anche al di fuori delle loro specialità. Hanno la paura negli occhi - dice - però vogliono aiutare».
Il Messaggero