La Sial, la scuola italiana nella quiete di Holland Park, è da oggi chiusa: come accade ovunque in Italia, ma - per ora - non nel Regno Unito. A Londra è una goccia...
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Coronavirus, diretta. Trump dichiara stato d'emergenza in Usa: in arrivo un pacchetto da 50 miliardi
Le ragioni illustrate dal premier Boris Johnson e dai suoi consiglieri scientifici sono di pubblico dominio: la diffusione del contagio è ormai inevitabile, molte famiglie devono prepararsi a piangere dei «morti fra i loro cari». E l'idea più «sensata» sarebbe quella di provare a teleguidare il tutto attraverso misure parziali e graduali, affinché il picco dell'epidemia arrivi un pò per volta, verso la stagione estiva calda, fino a toccare complessivamente il 60% della popolazione e favorire una cosiddetta «immunità di gregge» nelle parole del professor Patrick Vallance, accademico di riferimento a Downing Street: diluendo l'impatto sia sul sistema sanitario, azzoppato da anni di tagli, sia sull'economia in tempo di Brexit.
Un'analisi d'impronta pragmatica, che alcuni specialisti e una parte dei giornali sposano.
Chiara, avvocato nata a Macerata, è persino indignata dagli scarsi controlli. «Anche ieri è stato ribadito che i tamponi verranno fatti solo ai ricoverati». «La maestra di mio figlio è a casa da una settimana per una brutta influenza e le hanno rifiutato tre volte il test perché il protocollo non lo prevede», scuote la testa fuori dalla scuola elementare britannica che il suo bambino continua a frequentare: aperta come quasi tutte le altre dei dintorni. Decisamente in minoranza l'opinione di chi - come Gianni, dirigente di una banca d'affari - tende invece a fidarsi: «Diversamente che altrove, Johnson fin dal primo minuto si è fatto consigliare da due luminari in campo medico-scientifico (Chris Whitty e sir Patrick Vallance, ndr). L'emergenza non è stata minimizzata, l'invito è piuttosto a mantenere i nervi saldi senza cadere nel panico».
Difficile per chi ha parenti e amici in Italia e segue i notiziari come «bollettini di guerra», replica Lucio, che da due anni ha il passaporto britannico ma ora rimpiange la scelta d'essere rimasto a vivere nel Regno. «I miei genitori sono soli, anziani, e in questo momento non posso aiutarli. Mentre qui la vita scorre come nulla fosse, fra pub e ristoranti pieni e la metropolitana su cui si fa fatica a salire la mattina. Un'assurdità stridente». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero