Da sei anni, Shafqat Emmanuel e Shagufta Kausar, due coniugi cristiani di Gjra, nello Stato indiano del Punjab, al confine con il Pakistan, vivono con una spada di Damocle...
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Nel 2014 sui telefoni di Emmanuel e Kausar, che hanno quattro figli, furono trovati dei messaggi ritenuti blasfemi. Gli sms finiti nel mirino sono scritti in inglese, ma gli imputati non sanno scrivere nemmeno in urdu, figuriamoci in lingua straniera. «Il processo davanti al tribunale di primo grado è stato condizionato dalle pressioni islamiste - rileva l'avvocato Khalil Tahir Sandhu all'Agenzia Fides - Il ricorso presentato alla Corte di appello di Lahore viene esaminato sei anni dopo la sentenza emessa in primo grado e questa lentezza della giustizia, che alcuni dicono sia accentuata per le vittime cristiane, è di per sé un fatto molto negativo, che acuisce la sofferenza di due innocenti».
L’avvocato, che nella sua carriera ha difeso e fatto assolvere oltre 40 casi di cristiani ingiustamente accusati di blasfemia, si dice fiducioso per l’esito dell’udienza e auspica un verdetto di assoluzione: «Non vi sono prove evidenti a carico dei due. Il caso è chiaramente artefatto». Al momento i cristiani in carcere per blasfemia in Pakistan sono 25, sei dei quali condannati a morte.
«Sono tutte persone più sicure all’interno di un carcere piuttosto che al di fuori, dove sarebbero esposte alle vendette dei radicali islamici che vorrebbero giustiziare quanti sono bollati come blasfemi anche prima di un processo che ne accerti le responsabilità» ha concluso il legale. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero