Il no deal, ovvero una Brexit senz'accordo, deve essere evitato a tutti i costi. Salgono le pressioni su Theresa May all'interno dello stesso governo britannico...
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Tre sottosegretari (Margot James, Richard Harrington e Claire Perry) hanno annunciato pubblicamente d'esser pronti a dimettersi se il no deal non verrà escluso. Ma ad alimentare i venti di rivolta ci sono anche vari altri membri dell'esecutivo, inclusi 3 ministri di spicco guidati da Amber Rudd. Stando alle anticipazioni, la premier - dopo aver rifiutato fino a ieri lo slittamento - è ora pronta a cedere e a non escludere oggi stesso alla Camera la possibile opzione d'un «breve rinvio».
Secondo fonti interne al Partito Conservatore citate dalla Bbc, la mossa di compromesso della premier - destinata peraltro ad irritare i falchi brexiteers della sua (teorica) maggioranza - è inevitabile per cercare di scongiurare il rischio di una ribellione collettiva dei Tory più moderati nel voto sui nuovi emendamenti in calendario domani. In particolare su quello trasversale - promosso dalla deputata laburista Yvette Cooper con il Tory ribelle pro Remain Oliver Letwin, e avallato ieri dall'appoggio formale del leader del Labour, Jeremy Corbyn - che se approvato imporrebbe a May, in caso di bocciatura finale del proprio piano il 12 marzo, di passare la palla al Parlamento e di farsi dettare dall'assemblea la richiesta a Bruxelles di slittamento della Brexit.
Intanto, per le prossime ore, è attesa pure la pubblicazione da parte del governo - secondo quanto imposto dalla Camera dei Comuni due settimane - di tutti i rapporti stilati sul temuto scenario di un no deal. Mentre non è previsto prima di metà marzo il nuovo emendamento in favore di un possibile secondo referendum che Corbyn ha annunciato ieri - superando precedenti esitazioni - qualora la Camera rigettasse la proposta del piano B laburista per una Brexit più soft rispetto alla linea May. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero