Brexit, schiaffo a Johnson: speaker dei Comuni blocca il voto sull'accordo

La Brexit resta in mezzo al guado, impantanata al Parlamento di Westminster. E per il governo di Boris Johnson si fa sempre più difficile garantire la promessa di portare...

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La Brexit resta in mezzo al guado, impantanata al Parlamento di Westminster. E per il governo di Boris Johnson si fa sempre più difficile garantire la promessa di portare il Regno Unito fuori dall'Ue, a ormai quasi tre anni e mezzo dal referendum del 2016, il 31 ottobre prossimo: ossia fra 10 giorni esatti. Il tentativo del primo ministro di ottenere oggi il via libera a una nuova votazione ai Comuni sull'accordo raggiunto in extremis con Bruxelles la settimana scorsa, dopo quello frustrato sabato dall'emendamento pro rinvio architettato dal dissidente Tory Oliver Letwin, si è scontrato con il muro opposto dallo speaker John Bercow. 


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Avviato a fine mese alle dimissioni, dopo 10 anni sullo scranno da arbitro della Camera elettiva all'insegna dei perentori richiami 'order, order!', Bercow ha interpretato il regolamento ancora una volta contro l'esecutivo. Decretando la mozione come «ripetitiva e inammissibile» visto che la Camera si era già espressa sul deal in seduta straordinaria sabato e aveva avallato a maggioranza l'emendamento Letwin per far slittare il voto finale a dopo l'approvazione del pacchetto di leggi tecniche attuative allegate: pacchetto depositato oggi stesso, ma che sarà sottoposto al vaglio dei deputati solo da domani. La decisione è stata criticata dai banchi Tory, dove Bercow - conservatore di estrazione, ma sgradito da tempo a molti dei vecchi colleghi di partito - è stato tacciato di partigianeria filo Remain.

E non è mancato chi ha notato come nel frattempo le circostanze fossero in effetti «cambiate», avendo il premier avanzato - obtorto collo e con una tripla lettera, ma in forma legale stando ai primi responsi giuridici - la richiesta all'Ue di proroga della Brexit impostagli dalla legge anti-no deal (o Benn Act). Ma tant'è, il voto per ora resta sospeso. Johnson, l'uomo che aveva detto di preferire essere ritrovato «morto in un fosso» piuttosto che accettare l'ennesima dilazione del divorzio da Bruxelles, ha dovuto così incassare il nuovo stop. Non senza dirsi «deluso» dal diktat di Bercow e rinfacciare allo speaker, per bocca di un portavoce di Downing Street, d'aver negato un'altra «chance di attuare la volontà del popolo britannico» espressa nel 2016. L'Ue intanto sta alla finestra.

Il Parlamento Europeo è pronto ad approvare l'accordo, ha fatto sapere il presidente David Sassoli, ma prima tocca a Westminster. Mentre sulla questione della proroga si continua a prendere tempo. La Germania precisa di essere pronta fin d'ora a dire sì a una «breve estensione tecnica», se dovesse servire. La Francia di Emmanuel Macron insiste invece a dire che un rinvio ulteriore, in questa situazione, «non serve a nessuno»; e di fatto cerca di reggere il gioco a Johnson, agitando almeno in teoria - quasi a voler esercitare pressione sul Parlamento britannico - la minaccia di un veto dell'ultimo momento, al prossimo Consiglio Europeo del 28 ottobre. Veto che significherebbe no deal. A Londra, d'altronde, la corsa contro il tempo si gioca a questo punto in una settimana.


Al governo non resta che tentare la carta di un'approvazione sprint del pacchetto di leggi attuative, per poi ottenere finalmente il sì o no secco che cerca sul 'Boris deal'. Ma per arrivare al traguardo dovrà affrontare una guerriglia di emendamenti. Primo fra tutti quello annunciato dall'opposizione laburista per provare a condizionare l'ok all'accordo sulla Brexit a un secondo referendum confermativo (obiettivo ormai sposato apparentemente senza più esitazioni anche da Jeremy Corbyn e che potrebbe avere l'inedito sì persino degli unionisti nordirlandesi del Dup, alleati dei Tories 'traditì dall'intesa Johnson-Bruxelles). Una sfida tutta da decidere, se mai ci sarà, a giudicare dall'immagine di un Paese fratturato ancora a metà fotografata dall'ultimo sondaggio sfornato dall'istituto Survation: stando al quale un 42% di britannici oggi sarebbe a favore di Remain, un altro 42% preferirebbe il 'Boris deal' e il resto non sa, non vuol rispondere o semplicemente non ne può più.
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Il Messaggero