La Brexit resta in mezzo al guado, impantanata al Parlamento di Westminster. E per il governo di Boris Johnson si fa sempre più difficile garantire la promessa di portare...
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Brexit, Goldman Sachs: Boris Johnson non è stato sconfitto
Brexit, schiaffo a Johnson: lui chiede il rinvio alla Ue con una lettera senza firma
Avviato a fine mese alle dimissioni, dopo 10 anni sullo scranno da arbitro della Camera elettiva all'insegna dei perentori richiami 'order, order!', Bercow ha interpretato il regolamento ancora una volta contro l'esecutivo. Decretando la mozione come «ripetitiva e inammissibile» visto che la Camera si era già espressa sul deal in seduta straordinaria sabato e aveva avallato a maggioranza l'emendamento Letwin per far slittare il voto finale a dopo l'approvazione del pacchetto di leggi tecniche attuative allegate: pacchetto depositato oggi stesso, ma che sarà sottoposto al vaglio dei deputati solo da domani. La decisione è stata criticata dai banchi Tory, dove Bercow - conservatore di estrazione, ma sgradito da tempo a molti dei vecchi colleghi di partito - è stato tacciato di partigianeria filo Remain.
E non è mancato chi ha notato come nel frattempo le circostanze fossero in effetti «cambiate», avendo il premier avanzato - obtorto collo e con una tripla lettera, ma in forma legale stando ai primi responsi giuridici - la richiesta all'Ue di proroga della Brexit impostagli dalla legge anti-no deal (o Benn Act). Ma tant'è, il voto per ora resta sospeso. Johnson, l'uomo che aveva detto di preferire essere ritrovato «morto in un fosso» piuttosto che accettare l'ennesima dilazione del divorzio da Bruxelles, ha dovuto così incassare il nuovo stop. Non senza dirsi «deluso» dal diktat di Bercow e rinfacciare allo speaker, per bocca di un portavoce di Downing Street, d'aver negato un'altra «chance di attuare la volontà del popolo britannico» espressa nel 2016. L'Ue intanto sta alla finestra.
Il Parlamento Europeo è pronto ad approvare l'accordo, ha fatto sapere il presidente David Sassoli, ma prima tocca a Westminster. Mentre sulla questione della proroga si continua a prendere tempo. La Germania precisa di essere pronta fin d'ora a dire sì a una «breve estensione tecnica», se dovesse servire. La Francia di Emmanuel Macron insiste invece a dire che un rinvio ulteriore, in questa situazione, «non serve a nessuno»; e di fatto cerca di reggere il gioco a Johnson, agitando almeno in teoria - quasi a voler esercitare pressione sul Parlamento britannico - la minaccia di un veto dell'ultimo momento, al prossimo Consiglio Europeo del 28 ottobre. Veto che significherebbe no deal. A Londra, d'altronde, la corsa contro il tempo si gioca a questo punto in una settimana.
Al governo non resta che tentare la carta di un'approvazione sprint del pacchetto di leggi attuative, per poi ottenere finalmente il sì o no secco che cerca sul 'Boris deal'.
Il Messaggero