Aung San Suu Kyi all'Aja respinge le accuse: «Non c'è stato alcun genocidio dei Rohingya»

Aung San Suu Kyi all'Aja respinge le accuse: «Non c'è stato alcun genocidio dei Rohingya»
«Non è stato un genocidio», ha detto la leader birmana Aung San Suu Kyi oggi davanti alla Corte penale internazionale dell'Onu all'Aja che accusa il...

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«Non è stato un genocidio», ha detto la leader birmana Aung San Suu Kyi oggi davanti alla Corte penale internazionale dell'Onu all'Aja che accusa il Myanmar di pulizia etnica nei confronti della minoranza musulmana dei Rohingya. Secondo la Premio Nobel per la Pace l'accusa è «incompleta ed errata», riportano i media internazionali.


L'intervento della Corte dell'Aja, che giudica le controversie tra Stati (a differenza del Tribunale dell'Aja, che invece giudica l'azione di singoli individui), ha preso avvio dopo la denuncia per genocidio mossa contro la Birmania dal Gambia. L'udienza si è aperta ieri. Aung San Suu Kyi è all'Aja per difendere i militari del suo paese dalle accuse, in quanto leader politico del Myanmar. Una posizione scomoda per una donna che nel 1991 è stata insignita del Nobel per la Pace proprio per la sua instancabile opposizione al regime militare birmano. Lo stesso regime che oggi difende sul massacro dei Rohingya.

«Un altro genocidio si sta svolgendo proprio davanti ai nostri occhi eppure non facciamo nulla per fermarlo - ha accusato in aula il procuratore generale Abubacarr Marie Tambadou -. Questa è una macchia sulla nostra coscienza collettiva. Non è solo lo stato del Myanmar che è sotto processo qui ma è la nostra umanità collettiva».

LA DIFESA DI SUU KYI
I problemi nello Stato di Rakhine, dove vivono molti Rohingya, risalgono a centinaia di anni fa, ha commentato Aung San Suu Kyi. La leader birmana, nella sua veste di testimone, ha poi riconosciuto che i militari del Paese potrebbero avere usato una forza sproporzionata a volte, sottolineando che se hanno commesso crimini di guerra «verranno perseguiti». La Birmania è impegnata nel rimpatrio in sicurezza dei Rohingya che hanno lasciato Rakhine, ha proseguito Suu Kyi, esortando la Corte ad evitare di prendere qualsiasi misura che potrebbe aggravare il conflitto.

Come è noto, migliaia di Rohingya sono stati uccisi e oltre 700.000 si sono rifugiati nel vicino Bangladesh durante la repressione del 2017 nel Paese a maggioranza buddista. Il governo ha sempre sostenuto di dover far fronte alla minaccia di estremisti nello Stato di Rakhine e Suu Kyi ha appoggiato questa versione, definendo le violenze un «conflitto armato interno provocato da attacchi contro postazioni di polizia». La premio Nobel per la pace, che di fatto è la leader del Paese dall'aprile 2016, non ha il controllo sui militari ma è stata accusata dall'Onu di essere loro «complice».

SAVE THE CHILDREN

Le dichiarazioni di Aung San Suu Kyi alla Corte Internazionale di Giustizia contraddicono le prove raccolte dall'Onu e le infinite testimonianze dei sopravvissuti raccolte dagli operatori di Save the children. Questo il commento dell'organizzazione alle dichiarazioni della leader birmana. «Le dichiarazioni di Aung San Suu Kyi contraddicono le prove raccolte dalle Nazioni Unite, e le testimonianze di un numero infinito di sopravvissuti ascoltate dai nostri operatori. Le famiglie Rohingya hanno affrontato una serie di inimmaginabili orrori in una vera e propria campagna di violenza. I bambini e i loro genitori sono stati sistematicamente uccisi, mutilati o violentati. Nonostante si affermi che queste violazioni siano oggetto di un'indagine interna, il Governo del Myanmar ha più volte omesso di punire i responsabili. Il mondo non può più accettare la tattica dilatoria e diversiva del Myanmar», ha dichiarato George Graham, Direttore Advocacy Umanitaria di Save the Children, l'organizzazione che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro.
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Il Messaggero