Versace diventa americana, Scervino: «L'italianità un valore da difendere non solo a parole»

Dopo l'acquisizione di Versace da parte di Michael Kors, sono sempre di meno le griffe che possono definirsi davvero e completamente italiane. Si contano sulle dita di una...

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Dopo l'acquisizione di Versace da parte di Michael Kors, sono sempre di meno le griffe che possono definirsi davvero e completamente italiane. Si contano sulle dita di una mano o poco più. Tra queste, sicuramente, spicca la Ermanno Scervino, fondata a Firenze nel 2000 dallo stilista Ermanno Daelli e dall'imprenditore Toni Scervino.


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Un'azienda, quindi, che ha raggiunto da poco la maggiore età, ma che si è imposta con grazia e determinazione nel panorama internazionale. Lo stesso stilista, con idee ben chiare sul suo futuro fin dalla più tenera età, si è trasferito giovanissimo a Parigi per un apprendistato dal quale ha sempre raccontato di aver imparato tanto. Ha vissuto a New York e ha conosciuto Andy Warhol ed è sempre stato aperto verso l'estero e comunque verso tutto ciò che di nuovo propone. Tranne che per vendere la sua società, anche se, ovviamente, le offerte non sono mancate, visto il successo della griffe.

IL PUNTO DI VISTA

Senza entrare nel merito delle scelte altrui, il designer ha un punto di vista ben preciso: «Penso che l'italianità della produzione sia un valore importante, che come tale va difeso e tutelato. Made in Italy non significa semplicemente fatto in Italia, ma sintetizza un processo complesso, fatto di almeno cinque mesi di continue sperimentazioni, usando mani sapienti, esperte, che sappiano riconoscere i tessuti, saggiarne la consistenza, per poi riuscire magistralmente a unirli tra loro con ago e filo. Questo patrimonio di conoscenze è inimitabile e non può essere comprato». Non a caso, ha scelto come sua casa Firenze, una città dove può vivere il saper fare in prima persona, anche se non si nega continui viaggi in città straniere per trovare nuove fonti d'ispirazione e di visione. Tra i suoi best seller le lavorazioni al macramè, un suo segno distintivo, quasi una firma, che richiama proprio il saper fare. Sì tratta, infatti, di un materiale che definisce complicato da ottenere, perché bisogna saper maneggiare, e bene, i tessuti per ricavarne il meglio. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero