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Basta con il mercato del “fake”, dei prodotti contraffatti venduti sulle bancarelle, e non solo. È urgente voltare pagina, se non si vuole far morire il settore manifatturiero. E la mission da portare avanti, con una crisi economica accentuata dall’emergenza pandemica, è chiara: avviare una decisa campagna, a tutti i livelli, per tutelare il Made in Italy. A lanciare il grido d’allarme è Ornella Auzino, imprenditrice napoletana titolare di un’azienda che produce borse per conto terzi e che annovera tra i suoi clienti anche alcune griffe del lusso.
«In questo periodo si parla ancora meno di contraffazione, perché viene ritenuta un ammortizzatore sociale, che dà lavoro ai clandestini, ai disoccupati e alle fabbriche inattive. Si tratta di un male che affligge da tempo il settore e negli ultimi anni - al comune fake cosiddetto da bancarella - si è affiancato l’overrunning, ovvero la sovrapproduzione fatta dagli stessi artigiani che producono per i brand del lusso», spiega Auzino, che aggiunge: «La normativa è davvero blanda per chi compra e non disincentiva assolutamente.
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Basterebbe seguire l’esempio di chi ha già messo in atto una strategia adeguata: «Un po’ come quando Sky, Netflix ed altri portali di streaming online si sono coalizzati contro il “pezzotto” e la visione delle partite in maniera illegale. Da allora Google ed i social fanno molta attenzione a quello che viene messo online. Perché non può accadere anche con la contraffazione?».
L’imprenditrice poi prende spunto dalla questione ristori per delineare lo stato dell’arte nel settore della pelletteria: «A fronte di ristori quasi inesistenti, quello che risulta più complicato è programmare il futuro ed avere la certezza che il settore della pelletteria sia davvero tutelato». «Dietro alla produzione di una borsa - spiega Auzino – c’è un grande indotto, grazie al quale è possibile dare lavoro a migliaia di famiglie. All’inizio dell’allarme pandemico noi per precauzione avevamo chiuso una settimana prima l’azienda, rispetto a quello che è stato deciso a livello governativo, per placare l’ansia dei dipendenti che non avevano punti di riferimento chiari. In seguito alla chiusura, abbiamo usufruito della cassa integrazione Covid anche se, per il nostro settore, è un ammortizzatore sociale già previsto ed abbiamo avuto un reintegro sulla perdita di fatturato».
L’imprenditrice si pone quindi alcuni interrogativi: «Chi sta pensando al settore? Chi si sta occupando di monitorare il numero di fabbriche che oppresse dalla crisi, stanno chiudendo? Chi sta progettando piani di supporto a lungo termine per sostenere le aziende che devono fare i conti con il nuovo mondo? Il settore della pelletteria, calzatura e piccola pelletteria - prosegue – rappresenta un’eccellenza, in grado di esportare prodotti di altissima qualità, Made in Italy, in tutto il mondo». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero