I capelli raccolti a mostrare il collo morbidamente inclinato. Il volto nascosto ma non abbastanza da non rivelare la sua giovinezza. La schiena nuda, quasi scolpita dalle ombre....
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Sembra tradurre perfino i brividi del contatto la fotografia Mainbocher Corset scattata da Horst P. Horst nel 1939, scelta come cuore della mostra dedicata al maestro dell’obiettivo “Horst P. Horst. A beautiful Image”, curata da Walter Guadagnini, con la collaborazione di Horst Estate, USA, e Paci Contemporary di Brescia, ospitata dal 12 aprile fino al 9 giugno a Palazzo Magnani, a Reggio Emilia, nell’ambito della rassegna Fotografia Europea 2019, quest’anno a tema “Legami”.
Sono oltre 120 le immagini esposte a ricostruire vita e carriera del fotografo, classe 1906, scomparso venti anni fa, nel 1999 a Palm Beach negli Stati Uniti. Sotto i riflettori, in piena rispondenza con il tema del festival, le relazioni, l’intimità, i legami. Prima protagonista è la sensualità di sguardi e pelle, una sorta di patina glam che veste ogni occhiata del fotografo artista portandolo a costruire monumenti alla sensualità della sua epoca, prima ancora che alla sua bellezza. L’immagine, icona seduttiva, si rivela foto di un “addio”: è l’ultima fotografia, infatti, scattata da Horst a Parigi prima dello scoppio della guerra.
«A Parigi - disse - avevo trovato una famiglia e un modo di vivere. I vestiti, i libri, l’appartamento, tutto doveva essere abbandonato». Così il corsetto slegato si fa anche simbolo di desolazione, memoria di felicità godute e ormai perse. Accanto a questa, l’offerta del corpo nudo di “Odalisca”, sensuale, provocante, esplicito. Poi, gli scatti realizzati tra gli anni Trenta e i Cinquanta per Vogue e Harper's Bazaar, che hanno consacrato la sua fama a livello internazionale, rendendolo un protagonista dell’immagine di moda e dunque dell’immaginario del settore.
Horst veste e spoglia le sue modelle a fare storia della bellezza femminile e della sua eleganza. E la sorta di languore che accomuna i suoi scatti è suggestione che si estende anche ai ritratti della comunità artistica parigina degli anni Trenta, da Jean Cocteau a Salvador Dalì, fino ad arrivare alle foto a colori. Al di là dei corpi, ad essere ritratta è la sensualità insita nella Vita in una sorta di sfilata di forme e suggestioni che della moda fa strumento di narrazione. «Non credo che la fotografia abbia anche remotamente a che fare con il cervello - diceva Horst - Ha a che fare con l’apparire agli occhi». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero