«Io ho un nome»: la scrittrice Chanel Miller racconta in un libro lo stupro subito

«Io ho un nome»: Chanel Miller racconta in un libro lo stupro subito
«Non sapevo che se una donna è ubriaca quando ha luogo la violenza, non viene presa sul serio. Non sapevo che la mia perdita di memoria sarebbe diventata la sua...

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«Non sapevo che se una donna è ubriaca quando ha luogo la violenza, non viene presa sul serio. Non sapevo che la mia perdita di memoria sarebbe diventata la sua opportunità. Non sapevo che essere una vittima fosse sinonimo di non essere creduti»Chanel Miller, scrittrice e attrice californiana, viene stuprata una notte di gennaio del 2015. Con lo pseudonimo di Emily Doe, aveva scritto una lettera all'uomo che l'aveva violentata, pubblicata nel 2016 su BuzzFedd e divenuta virale. Adesso si racconta con il suo vero nome nel libro in uscita con La Tartaruga: «Chanel Miller, io ho un nome - Una storia vera».


«Il mio nome è Chanel. Sono una vittima, non ho nessun problema con questa parola, solo con l'idea che questo sia tutto ciò che sono. In ogni caso, non sono la vittima di Brock Turner. Non sono affatto sua. Non gli appartengo. Sono anche per metà cinese», dice la Miller nel suo libro -manifesto in cui mostra come il trauma della violenza si possa curare con il potere delle parole.

Quella notte del 2015, era andata ad una festa nel campus della Stanford. Aveva bevuto un po' troppo e si è ritrovata per terra, molestata sessualmente. Salvata da due passanti, il giorno dopo, al risveglio, non ricordava nulla. Turner,
«un atleta di spicco, un ragazzo molto intelligente e bello!» come è stato descritto in molti articoli di giornale, è stato fermato e ha confessato. É cominciato così l'iter giudiziario, avvocati, aule di tribunali, appelli, ma il processo non ha reso giustizia alla Miller : Turner è stato condannato a sei mesi, poi ridotti a tre, mentre lei ha vissuto l'isolamento e la vergogna. Come un mantra nella mente di Emily-Chanel risuonavano queste parole: «Vali più di tre mesi. La tua sofferenza vale qualcosa. Vali più di tre mesi. Oltre al crimine in sè, la vittima inizi a pensare di se stessa cose degradanti».





Come viene fatto notare nella quarta del libro:
«Le venature in oro sulla copertina rappresentano l'arte giapponese del kintsugi, letteralmente riparazione in oro, che si usa per valorizzare le crepe degli oggetti di porcellana con una mistura di polvere d'oro e smalto, invece di trattarle come imperfezioni da nascondere. Questa tecnica ci insegna come, benché niente possa tornare al suo stato originario, i frammenti possono dare vita a qualcosa di nuovo e di intero»


«Quello che non avevo mai detto ad alta voce era - scrive la Miller - è che lo stupro ti fa desiderare di trasformarti in legno, dura e impenetrabile. Nelle notti in cui vi sentite sole, io sono con voi. Quando le persone dubitano di voi o vi ignorano, io sono con voi. Ho lottato ogni giorno per voi. Quindi non smettete mai di lottare, io vi credo», dice la scrittrice, rivolgendosi alle ragazze, nella lettera, riportata in chiusura del libro. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero