Fuggono da un paese al collasso, in cerca di cure. Centinaia di donne venezuelane incinte stanno raggiungendo il centro sanitario d'emergenza allestito da Save the Children al...
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«In molti casi - raccontano da Save the Children - si tratta di donne che al secondo o al terzo trimestre di gravidanza, anche in seguito a complicazioni legate ai lavori faticosi che svolgevano in Venezuela, hanno dovuto affrontare il rischioso viaggio per raggiungere la Colombia, spesso dovendo lasciare a casa le proprie famiglie e senza avere un posto dove stare una volta giunte a destinazione».
GRAVIDANZE A RISCHIO
Fra quelle arrivate alla clinica della ong, «più del 60% aveva gravidanze ad alto rischio o affette da anemia a causa della mancanza di cibo nutriente e a prezzi accessibili in Venezuela». Sono 4 milioni le persone che finora hanno abbandonato il paese. E «per altre donne e ragazze - segnala ancora Save the Children - i rischi derivano dalle malattie sessualmente trasmissibili, come sifilide e infezioni da Papillomavirus». In Venezuela l'inflazione è cresciuta di oltre 1 milione per cento, impedendo negli ultimi 5 anni alla maggioranza della popolazione di potersi permettere l'acquisto della gran parte dei contraccettivi.
«Ho dovuto lasciare il mio paese - racconta Ana fuggita al settimo mese di gravidanza - perché lì non potevo avere le cure necessarie. Ma sono molto triste, perché a causa di quello che succede in Venezuela non posso prendermi cura dei miei bambini. Appena arrivata, sono stata ricoverata perché la mia era una gravidanza ad alto rischio. Avevo i calcoli ai reni e livelli di emoglobina molto bassi. Grazie a Dio mi hanno fatto una trasfusione e ho ricevuto tutte le cure di cui avevo bisogno».
Un quinto di queste donne in fuga ha meno di 18 anni, «per arrivare qui in molti casi hanno dovuto lasciare quasi tutto quel che avevano, documenti compresi - spiega Maria Paula Martinez, Direttrice di Save the Children in Colombia - Ciò significa che il loro accesso all'assistenza sanitaria è estremamente limitato, e questo non fa che aggravare ulteriormente i rischi per loro stesse e per i loro bambini non ancora nati». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero