Tumore al fegato, la speranza dagli studi di due ricercatrici del Pascale di Napoli

Arriva dal successo dei risultati degli studi di due ricercatrici l'ultima speranza per la cura del tumore al fegato. Il gruppo è guidato da Luigi...

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Arriva dal successo dei risultati degli studi di due ricercatrici l'ultima speranza per la cura del tumore al fegato. Il gruppo è guidato da Luigi Buonaguro,responsabile del dipartimento di Immunoregolazione Tumorale dell'Istituto Pascale di Napoli e leader internazionale sullo sviluppo di nuove strategie immunoterapeutiche per l'Hcc, le ricercatrici Mariella Tagliamonte e Angela Mauriello.


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Terza causa di morte oncologica nel mondo, il carcinoma epatocellulare (Hcc)- la forma più comune di tumore del fegato - è considerato un big killer con circa 800mila decessi ogni anno a livello globale. I principali fattori di rischio sono l'infezione cronica dai virus epatici B e C e l'assunzione cronica di alcool. Finora le strategie immunoterapeutiche - mirate a risvegliare il sistema immunitario contro il tumore - non hanno dato i risultati auspicati. A partire dal 2020 una nuova speranza potrebbe, appunto, arrivare da due studi condotti al Pascale di Napoli. Studi su nuove combinazioni immunoterapeutiche  in grado di indurre contemporaneamente un'efficace risposta antitumorale e controbilanciare il microambiente tumorale immunosoppressivo (Mariella Tagliamonte), e sull'individuazione di nuovi bersagli molecolari, in particolare neo-antigeni mutati tumore-associati (Angela Mauriello).

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I lavori sono stati pubblicati su Cancers e Cancer Letters, due riviste oncologiche mondiali. Biologa con specializzazione e dottorato in medicina sperimentale, quarantacinque anni, di Torre del Greco, Mariella Tagliamonte fa parte del gruppo di lavoro di Buonaguro da venti anni e da dieci lavora sul tumore del fegato. La sua stabilizzazione al Pascale è avvenuta lo scorso 30 dicembre. Ha solo trenta anni, invece, Angela Mauriello, di Marano, biotecnologa, lavora da due anni al Pascale come contrattista dopo una laurea sui tumori epatocellulari.
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Il Messaggero